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Atti del convegno  “Zes Unica del Mediterraneo. Fattori socio-economici, logistici e geopolitici”

Zes Unica del Mediterraneo. Fattori socio-economici, logistici e geopolitici” promosso dall’Eurispes in collaborazione con il Forum Permanente del Mediterraneo e Mar Nero, Lions Clubs International e l’Universitas Mercatorum.

GIOVANNI CANNATA: Buongiorno e benvenuti. Grazie a tutti coloro i quali sono qui in presenza e a coloro i quali sono collegati in streaming attraverso la rete. Come Rettore di questa Università con moltissimo piacere ho aderito all’invito che mi era stato formulato di ospitare qui questo incontro, di ospitare e di coinvolgerci in questo incontro sul tema “Zes Unica del Mediterraneo. Fattori socioeconomici logistici e geopolitici”. Sono molto lieto per varie considerazioni. Innanzitutto perché questa è un’iniziativa che condividiamo con Eurispes al quale ci lega un rapporto di antica collaborazione, di apprezzamento per l’attività che Eurispes svolge – prescindo dai rapporti interpersonali fra me e il professor Fara che sono consolidati da qualche tempo. Poi c’è un altro elemento che mi piace sottolineare: l’iniziativa è promossa dai Lions Club, come ricordavo ho avuto il privilegio di avere assegnato un premio “Melvin Jones” da parte del sodalizio e quindi conosco perfettamente l’attività che viene svolta e mi compiaccio di questa partecipazione; poi vedo la presenza dell’Osservatorio sul Mediterraneo, che è un altro punto focale di accertamento delle prospettive e poi il tema di fondo, che è un tema significativo e intrigante con i tempi che corrono, un tema che ho avuto modo di seguire qualche tempo addietro, al momento della nascita delle ZES, sedendo nell’Osservatorio del Banco di Napoli, poi di Intesa, che si è occupato di traffici mediterranei. Questa materia l’ho seguita con molta attenzione e però oggi siamo di fronte a una situazione completamente nuova, quindi, come dire, il ruolo e l’importanza dello strumento, penso, dovrebbero essere molto chiari a tutti coloro i quali ci ascoltano, perché la questione delle Zone Economiche Speciali è centrale. Alcuni paesi, in particolare nel Mediterraneo, ne hanno fatto un punto di forza molto significativo – penso a tutto l’esperimento marocchino e quindi a quello che ha significato. Poi se questa cosa la mettiamo in una condizione, quale è quella attuale, per la quale c’è questa attenzione geopolitica ai traffici marittimi e alle attività che si sviluppano, comprendiamo certamente che il tema è centrale. Il tema sarà affrontato con il contributo di molti studiosi. Non li saluto tutti per evitare omissioni, ma sono molto lieto che questa operazione di rilettura abbia luogo in un momento critico di valutazione delle Zone economiche speciali con il passaggio dalle zone territoriali alla ZES Unica con una serie di punti accennati e non risolti. Questo la dice lunga sulla necessità di un approfondimento, che è appunto di natura scientifica, ma se vogliamo, anche approfondimento di natura formativa, perché approntare una operazione di questo genere significa anche, come dire, fare coinvolgimento significativo della formazione degli operatori che devono ad essa prestarsi. I temi delle due tavole rotonde – poi passerò la parola agli ospiti – sono centrali: la stabilità del quadro normativo e la semplificazione procedurale, non lo devo dire a nessuno, sono i temi che stanno sull’agenda del Paese. Il tema della semplificazione procedurale è certamente centralissimo; il tema della progettazione e gestione di nuovi modelli geopolitici delle Infrastrutture è altrettanto forte – mi veniva fatto ripensare in questi giorni a che cosa ne pensasse l’ingegnere De Lesseps, quando si diede carico di fare il buco del Canale di Suez con i tempi che corrono e con il ritorno a dover fare le circumnavigazioni. Questo sul tema della Geopolitica la dice veramente tanto. Naturalmente il tema è centrale per il nostro Paese: questo è un Paese che dal punto di vista della evoluzione della logistica deve fare passi significativi ancora avanti. Non a caso noi abbiamo scelto qualche tempo addietro di attivare un Corso di Laurea nel quale il tema, nella classe delle ingegnerie, della mobilità e della mobilità sostenibile è tema centrale. Quindi, questa movimentazione, questo mondo nel quale compriamo non si sa da dove e vendiamo non si sa da dove – che poi alla fine si sa – questo mondo che gira significativamente nel sistema delle merci e dei beni è una un tema di riflessione importante. Vi auguro buon lavoro. Purtroppo impegni ulteriori mi portano altrove, ma vi seguirò in parte attraverso la rete. Grazie e buon lavoro a tutti.

FABIO INSENGA: Grazie al Professor Cannata e riavvolgiamo il nastro. Mi presento sono Fabio Insenga, Vicedirettore dell’agenzia di stampa di Adnkronos e vi aiuterò nello svolgimento dei lavori di oggi, di questo che è un convegno importante da tanti punti di vista. Il Professor Cannata già ha fatto cenno ai fattori economici, ai fattori geopolitici, che rendono questo tema particolarmente centrale. Io mi limito a qualche titolo giornalistico prima di cedere la parola al Professor Fara, Presidente dell’Eurispes. Parliamo, se ragioniamo in termini economici, di tutto quello che è una zona economica e quindi semplificazioni amministrative, agevolazioni fiscali, facilitazioni doganali. Il Professor Cannata faceva cenno al tema geopolitico. Quello che sta avvenendo in Medio Oriente, quello che sta avvenendo in Mar Rosso, ci dice ancora di più quanto – rispetto alla Zona economica speciale unica e quindi a questo ulteriore passo in avanti che è stato fatto sulle ZES – sia centrale rispetto a quanto il Mediterraneo possa essere centrale nel commercio internazionale e in un mondo in profonda trasformazione. Allora cedo la parola al Professor Fara, Presidente dell’Eurispes.

GIAN MARIA FARA: Buongiorno a tutti. Illustre Rettore, caro amico Professor Cannata, grazie per l’ospitalità. Voglio ringraziare appunto l’Università Mercatorum per l’ospitalità, la collaborazione attiva in questa importante occasione di incontro e di riflessione. Ringrazio vivamente i Lions Club International, il forum permanente del Mediterraneo-Mar Nero per l’importante stimolo che hanno dato a tutti noi di riflettere su un tema di grande rilievo come quello del presente convegno e di provare a dare un positivo contributo di idee e di proposte. Non vi è dubbio che la decisione di costituire una Zona economica speciale unica per le regioni del Sud Italia costituisce una grande sfida non solo per il Mezzogiorno, ma per l’intero Paese ed anche, voglio aggiungere, per il sistema europeo in considerazione delle grandi dimensioni del territorio coinvolto e del suo posizionamento centrale nell’Area Mediterranea. Abbiamo sciolto le tante piccole Zes e ne abbiamo fatta una grande, oserei dire enorme. Da tempo, come Eurispes, abbiamo posto attenzione sull’importanza di questo strumento per la promozione dello sviluppo locale e regionale; lo testimoniano le analisi pubblicate negli ultimi anni nel nostro Rapporto Italia, gli articoli e i commenti apparsi sul nostro magazine online, i dossier e le valutazioni elaborate, in particolare, dai nostri osservatori e laboratori. Già nel 2017, infatti, l’Istituto segnalava attraverso il Laboratorio sui BRICS, coordinato dal nostro segretario generale Marco Ricceri, la necessità per l’Italia di dotarsi dello strumento delle Zes. Marco è stato lo scopritore dei BRICS: un giorno è arrivato un Istituto dicendo «C’è una cosa che si chiama BRICS» e noi incuriositi abbiamo cercato di capire che cosa fosse, ed era l’acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica e abbiamo scoperto che i BRICS stavano di fatto monopolizzando, stavano occupando casa nostra, perché non avendo questi paesi una proiezione diretta sul Mediterraneo avevano pensato bene di occupare, non manu militare, ma manu economica, il bacino del Mediterraneo finanziando i paesi del Nordafrica. Segnalavamo, dunque, la necessità per l’Italia di dotarsi dello strumento delle Zes per fare in modo che i nostri porti non perdessero ulteriormente competitività all’interno del bacino mediterraneo, e a livello internazionale. Possiamo dire, senza dubbio, che il nostro studio ha contribuito a dare un forte impulso affinché anche il nostro Paese si dotasse di aree economiche speciali. Normalmente le Zone Economiche Speciali, in Italia, come in Europa e nell’area Mediterranea con cui ci confrontiamo, sono sempre state intese, promosse e organizzate con riferimento a territori limitati ai quali veniva riconosciuta la necessità e/o l’opportunità di concedere particolari agevolazioni per favorire lo sviluppo economico dei territori stessi. Così è per le circa cento Zone Franche, comprensive delle Zone Economiche Speciali, che sono state promosse e sono attive da tempo in Europa; così è anche per le Zes italiane oggetto della legislazione e di specifici provvedimenti degli ultimi anni. A questo proposito, richiamo il decreto legge n. 91/2017, convertito nella legge 123 del 2017, e i provvedimenti in materia presi dal governo Draghi nell’ambito del PNRR. Ma, non vi è dubbio che con la creazione di una Zona Economica Speciale unica per l’intera realtà territoriale del Mezzogiorno – decisa nel 2023 dal governo Meloni, presentata alla Commissione Europea dal ministro Fitto e approvata a Bruxelles dalle competenti autorità – non vi è dubbio, ripeto, che con una tale decisione è stato compiuto un grande salto di qualità che richiama tutti, operatori pubblici e privati, ad una grande capacità progettuale ed una altrettanto grande capacità di gestione. Tutti noi sappiamo benissimo come lo sviluppo di una realtà come quella del nostro Mezzogiorno sia piena di ostacoli e difficoltà, considerando che la questione meridionale si trascina da decenni ed è sempre viva e attuale. Tutti noi conosciamo bene come le politiche pubbliche nel Mezzogiorno d’Italia abbiano registrato negli anni dei buoni ed anche eccellenti risultati in determinate situazioni, ma anche pesanti sconfitte e fallimenti, come è dimostrato dai divari tuttora esistenti tra le diverse aree del Paese – Nord, Centro e Sud. In questa situazione, coinvolgere tutta l’area del Mezzogiorno d’Italia nella iniziativa della Zona Economica Speciale può rappresentare, a mio avviso, soltanto due opzioni alternative: o appuntare una nuova etichetta formale ad una realtà nella quale non si è capaci di incidere positivamente più di tanto; ovvero – l’alternativa – essere in grado di costruire uno strumento efficace di intervento che consenta al nostro Meridione di voltare pagina e di allinearsi con le realtà economiche e produttive più avanzate del nostro Paese e del sistema europeo. Mi auguro vivamente che la decisione per la Zes Unica nel Mezzogiorno sia l’occasione per operare positivamente in questa seconda alternativa; e al riguardo, mi sento di confermare che il nostro Istituto è impegnato a dare il proprio contributo di analisi, idee, proposte affinché si possa aprire questo nuovo capitolo nello sviluppo del nostro Sud e del nostro Paese. Certo, sono profondamente consapevole che, per percorrere questo nuovo cammino, la classe politica italiana, di maggioranza e di opposizione, come il mondo imprenditoriale e quello della Università e della ricerca scientifica devono sapere operare secondo due condizioni precise: da un lato, agire con un vero partenariato pubblico-privato e, dall’altro, sapere esprimere una altrettanto vera capacità progettuale e programmatica. Il valore e la portata della scelta per una Zes Unica tanto vasta si misureranno non tanto sulla entità e la distribuzione di incentivi e agevolazioni alle attività economiche e produttive – certo importanti e necessarie – quanto piuttosto sull’avvio di un vero e proprio governo di sistema, con un adeguato e innovativo impianto istituzionale e con piani organici in grado di interagire tra loro e creare sinergie nei più diversi àmbiti economici, ambientali, sociali, culturali. Questa è la sfida che abbiamo di fronte. Ringrazio, infine, tutti i presenti in sala, allo stesso modo ringrazio anche quanti sono collegati a distanza per seguire la mattinata di lavori e auguro, ai relatori che discuteranno a breve sul tema della Zes Unica, buon lavoro.

FABIO INSENGA: Ringrazio Gian Maria Fara che ha sinteticamente introdotto sia le opportunità, sia i rischi, sia la necessità che questa grande sfida passi per un governo di sistema, che è fondamentale. Cedo la parola all’Ing. Filly Auriemma Presidente Lions Club Nola “Ottaviano Augusto”. Grazie.

FILLY AURIEMMA: Grazie, buongiorno a tutti. Come Presidente del Club Lions che si è fatto promotore del Forum permanente del Mediterraneo e del Mar Nero per il futuro dei giovani, spendo due parole per farvi conoscere il progetto. Esso nasce innanzitutto da quelli che sono gli scopi del lionismo: fornire un luogo di dibattito per discussioni aperte su tutte le questioni di interesse comune, creare e promuovere uno spirito di comprensione e di intesa tra i popoli del mondo. Ebbene il Club ha messo le proprie professionalità a servizio di questi scopi con l’ambizione di creare una rete unica fondata su valori comuni che diffonda cultura e sviluppo, costruisca protezione ambientale, promuova la sicurezza, crei valore ed opportunità per i popoli che si affacciano sul nostro mare. Crediamo che il ruolo della formazione sia determinante per promuovere una rete che sviluppi solidarietà, crei opportunità e dia lavoro sostenibile per le generazioni future. Negli anni abbiamo promosso argomenti di discussione di vario genere, tutti messi sotto il cappello del Forum. Abbiamo parlato di ecologia, partendo dall’analisi dei cambiamenti climatici, sino agli sviluppi sostenibili per il benessere dei nostri mari. Abbiamo affrontato l’argomento delle infrastrutture e della logistica, partendo dal progetto del Ponte sullo stretto di Messina ad arrivare al sistema della logistica a servizio delle Zone economiche speciali nell’area del Mediterraneo. Abbiamo parlato di opportunità economiche, partendo dall’analisi dei vantaggi dei corridoi commerciali transeuropei, sino ad arrivare oggi ad affrontare con voi tutti l’argomento della Zes unica. Ringrazio tutti, ringrazio i relatori per essere nostri compagni di viaggio in questo approfondimento e auguro a tutti buon lavoro.

FABIO INSENGA: Adesso cedo la parola al dottor Salvo Iannì, Primo vicegovernatore Distretto 108-L.

SALVO IANNÌ: Buongiorno. Il mio è un semplice saluto e vorrei ringraziare innanzitutto gli organizzatori di questo incontro per me molto istruttivo e, quindi, li ringrazio a nome dell’Associazione che rappresento in questa sede. Un grazie anticipato, ovviamente, a tutti i relatori che ci permetteranno di entrare un po’ più appieno su quello che è la Zes unica del Mediterraneo, quindi ci permetterà di conoscere qualcosa in più. Io personalmente, fino a qualche giorno fa, conoscevo solo il decreto legge 91 del 2017, però è ovvio che oggi, non da discente, imparerò un sacco di cose nuove. Non voglio ripetere quanto detto dall’amica Filly Auriemma, ma vorrei dirvi soltanto due parole sulla nostra Associazione. La nostra associazione nasce nel 1917 su un’idea del fondatore Melvin Jones – parlavamo prima del riconoscimento Melvin Jones. È un’associazione che conta circa 1.400.000 soci, presente in 200 paesi, divisa in arie continentali, poi, a cascata, in aree multi-distrettuali come infatti questa, che è la 108, perché il 108 è il numero che è stato attribuito alla nostra nazione, e da qui poi i distretti, che sono in Italia 17, e il nostro, che è territorialmente il più esteso e diviso poi in 132 Club. Quindi la nostra missione è chiara e perfettamente in linea con il contenuto dell’incontro odierno: dare modo ai volontari di servire la loro comunità, rispondere ai bisogni umanitari, promuovere la pace e favorire la comprensione internazionale tramite il Lions Club. Quindi un plauso al dialogo fra le varie Istituzioni e le comunità del Mediterraneo ed un invito a noi, presenti in tutti i paesi di quest’area, ad incentivare il progresso sociale ambientale ed economico delle nostre comunità. Prendo in prestito alcune parole dell’amico Salvatore Napolitano, che è stato ideatore della rete Lions del Mediterraneo: “Mai come ora è importante aprirci a nuove realtà territoriali e intellettuali per avviare processi di compensazione culturale, economica e del lavoro che sono i veri contributi allo sviluppo della Pace”. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie anche al Dottor Iannì. Adesso entriamo nel merito dei lavori con la prima sessione. Ringrazio le autorità che hanno introdotto e chiamo qui Marco Ricceri, Segretario generale dell’Eurispes, il Professor Giovanni D’Alessandro, Professore Ordinario di Diritto Pubblico dell’Università Cusano, il Professor Francesco Fimmanò, Professore Ordinario di Diritto Commerciale dell’Universitas Mercatorum, il Professor Aldo Berlinguer, Presidente dell’Osservatorio Eurispes sull’Insularità e le aree interne, l’avvocato Giovanbattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali. Grazie a tutti. Allora, “ZES Unica: lineamenti e opportunità di recupero della centralità dell’Italia nella politica economica euromediterranea”. Questo è il titolo della sessione e quindi entreremo nel merito delle opportunità e dei rischi che sono stati prospettati in apertura dei lavori. Cedo la parola al Professor Marco Ricceri, Segretario generale dell’Eurispes, per un’introduzione dei lavori.

MARCO RICCERI: Benvenuti. Due riflessioni flash introduttive, perché mi sembra che il concetto di fondo sia già emerso con molta chiarezza negli interventi di apertura. Siamo di fronte ad una sfida che richiede la capacità di un governo di sistema, questo è il punto, quindi dove gli aspetti economici, fiscali, si intrecciano con quelli istituzionali e con quelli di politica estera. Allora, il Presidente Fara ha ricordato la nostra attenzione sui BRICS la quale è nata, e questo è importante per la riflessione di questa sessione, dallo stimolo che ci era arrivato da una serie di interventi di Romano Prodi il quale diceva: “Guardate noi siamo abituati a dire Mare Nostrum, ma in realtà il Mediterraneo non è più nostro, il Mediterraneo è di altri soggetti”, ovvero Cina, Russia, Brasile e così via. Questo è il contesto che bisogna tener presente. Abbiamo scoperto, per esempio, che le Nazioni Unite che riconoscono varie aree marittime – l’Oceano Indiano, il Sud-est Asiatico, eccetera – non riconoscono il Mediterraneo; per le Nazioni Unite, formalmente, il Mediterraneo è una realtà divisa in due: c’è un Mediterraneo del Sud e c’è un Mediterraneo del Nord. Il Mediterraneo del Sud come area geografica ed economica fa riferimento al Cairo (Egitto), il Mediterraneo del Nord come area economica e geografica fa riferimento a Budapest (quando abbiamo letto Budapest, eravamo in sede del CNR, ci siamo domandati cosa significa questo discorso e ancora non abbiamo trovato gli elementi di chiarezza). Quindi quando si parla di governo del sistema significa andare anche a mobilitare la nostra politica estera per chiarire, quantomeno in sede in sede ONU, perché Mediterraneo non è considerato una comunità economica e geografica. E fare una Zes che coinvolge un terzo del Paese, proiettata al centro Mediterraneo, ti obbliga a chiarire a sciogliere anche questi punti. Il terzo elemento, che vedo nel titolo anche del forum, è l’idea del Mediterraneo allargato e quindi anche del Mar Nero, dove esiste una istituzione internazionale riconosciuta dall’ONU, finanziata anche dall’Unione europea in maniera molto consistente, esattamente costruita sul modello europeo. Quindi c’è un’assemblea parlamentare, un consiglio, una commissione, che operano dalla fine degli anni Novanta; quindi si ha una situazione contraddittoria in cui da una parte c’è la guerra e le tensioni, dall’altra c’è un tavolo comune di lavoro, che è un canale comunque di pace. I responsabili della Psec, che sono Ambasciatori a rotazione e i ministri degli esteri, sostengono che si possono fare tante azioni di salvaguardia del Mediterraneo, di potenziamento – per esempio lo sviluppo sostenibile del Mediterraneo, la Blue Economy – e così via, ma se non ci occupiamo anche del Mar Nero, che è fortemente inquinato, pieno di tensione, eccetera, non riusciremo ad avere successo nei nostri sforzi. Quindi parlare della Zes è avere un’idea di Mediterraneo allargato: non si può procedere con un’idea di Mediterraneo stretto. Non possiamo poi dimenticare – questa è geopolitica – che a gennaio c’è stato l’allargamento dei BRICS e diversi paesi sono andati con i BRICS, voltando le spalle all’Unione europea (l’Egitto ha voltato le spalle all’Unione europea). Sono tutti elementi da chiarire nel momento in cui fai parte di un progetto così importante come la Zes. Ecco, questi sono i tre elementi di riflessione che mi sentivo di porre sul tavolo, visto che fanno parte della politica economica euro-mediterranea. Dunque, il primo relatore è il Professore Avvocato Giovanni d’Alessandro, Ordinario di Diritto pubblico all’Università Cusano di Roma ed esponente del CTSM.

FABIO INSENGA: Grazie, cedo la parola al Professor D’Alessandro che ci introdurrà soprattutto rispetto alle innovazioni normative che la Zona economica speciale comporta, in particolare farà riferimento ad un’unica cabina di regia e ad una struttura di missione. Prego.

GIOVANNI D’ALESSANDRO: Sono stato coinvolto, e ringrazio gli organizzatori, in realtà vario titolo, perché sono un Lion, sono membro del Comitato Tecnico Scientifico del Forum del Mediterraneo, ma sono anche componente di un Osservatorio dell’Eurispes, presieduto dall’avvocato Palumbo. Però, sono fondamentalmente un costituzionalista e vi volevo introdurre il tema della ZES Unica anche alla luce del ricorso che ha presentato la Regione Campania, in via principale alla Corte Costituzionale, per violazione di vari articoli della Costituzione proprio di questa nuova disciplina di cui oggi stiamo parlando. Quindi, per fare le cose semplici, questa nuova disciplina, introdotta sul finire dell’anno scorso e poi consolidata dalla legge di conversione, è sottoposta al vaglio di costituzionalità, che si svolgerà tra un anno, prevedibilmente, in base ad un ricorso proposto dalla Regione Campania e non è detto che non ci siano altre Regioni che proporranno ricorso. In realtà la Campania lo ha fatto perché finora, nell’ambito delle ZES localizzate, la Campania era stata l’unica Regione che era riuscita a raccogliere delle disponibilità di investimento intorno al miliardo di euro; invece le altre Regioni hanno meno interesse finanziario rispetto a questa impugnativa. Cominciamo subito col dire che questa ZES unica ha una innovazione fondamentale che già è emersa nella introduzione del Presidente Fara. Finora noi conoscevamo una sola pubblicazione sulle ZES a livello mondiale della Banca Mondiale del 2017, che racconta l’esperienza delle ZES nell’intero mondo, quindi della Cina in particolare, ma anche di esperienze europee che hanno avuto grande successo, tra cui la Polonia. Si tratta sempre di esperienze localizzate. Adesso viene modificata la definizione di ZES, quindi non è soltanto una nuova disciplina delle ZES, ma è un nuovo paradigma delle ZES, perché l’articolo 9 – Istituzione della Zona economica speciale per il Mezzogiorno – dice che è istituita a far data dal 1° gennaio 2024 con le regioni che conoscete e che potete leggere, ma, in realtà, stabilisce una nuova definizione, perché per nuova Zona economica speciale oggi si intende una zona delimitata dello Stato nella quale l’esercizio di attività economiche imprenditoriali da parte sia delle aziende già operative nei relativi territori, sia di quelle che vi si insedieranno, può beneficiare di speciali condizioni in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo dell’impresa. Questa è una definizione assolutamente generica. Se andiamo alla slide successiva vedete che è completamente cambiata la dinamica della ZES. La ZES, fino alla nuova modifica normativa, era definita dal decreto legge n.91/2017 come un’area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale e che comprenda almeno un’area portuale facente parte della rete globale delle Reti di trasporto transeuropee, definite dal Regolamento dell’Unione Europea 1315 dell’11 settembre 2013. Nella sostanza, le ZES erano collegate alle grandi Reti di trasporto Europea TEN-T e, nella lettura che ne aveva fatto la SVIMEZ, avrebbero potuto essere importanti proprio per un possibile ruolo dei porti e dei retroporti del Sud nell’ambito dei traffici internazionali di merci, delle loro lavorazioni e della logistica. Questo è stato fino a ieri, cioè fino al 1° gennaio 2024. Dal 1° gennaio 2024, le Zes sono, in Italia, tutt’altra cosa, o meglio è tutt’altra cosa la Zes per il Mezzogiorno, che non pregiudica l’esistenza di altri tipi di Zes che non sia questa Zes Unica. Già questo fa capire che, mentre anche dalle mie parti, nella provincia di Salerno, si è parlato a lungo – anche come problema politico – del retroporto di Salerno, ovvero dell’ampliamento del porto, adesso la Zes è tutta un’altra cosa. Questo, ad esempio, è un motivo di impugnazione della Regione Campania alla Corte Costituzionale, cioè lo Stato in corso d’opera, mentre chiedeva a soggetti di investire nel territorio previsto precedentemente per realizzare logistica e quant’altro, adesso si trova ad aver cambiato completamente le regole del gioco. Oggi la Zes è una grandissima area – tutto il Meridione d’Italia – in cui ci sono dei vantaggi fiscali, che però non sono più legati funzionalmente all’ampliamento della rete dei porti nell’area del Mediterraneo e questo penso che sia una innovazione radicale. Collegata a questa innovazione radicale, direi proprio di filosofia della Zes, ci sono le innovazioni organizzative che hanno messo in allarme i cosiddetti governatori delle Regioni perché si è avuto un accentramento a livello governativo di tutte le componenti organizzative della Zes. Ora noi vedremo in dettaglio quali sono questi momenti di accentramento, sia organizzativo sia operativo, perché dal punto di vista organizzativo c’è una cabina di regia con una struttura che sono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e si prevedono procedimenti unici e autorizzazioni uniche. Naturalmente, dovete considerare però che il territorio interessato dalla Zes è molto ampio; quindi, se si vuole investire in un qualsiasi comune della Calabria o della Campania e quant’altro, si ha a che fare con le norme urbanistiche di quel comune, però la soluzione del problema urbanistico non viene fatta in loco, ma viene fatta a Roma, la quale deve applicare regole urbanistiche diverse, di province diverse, di regioni diverse, e quindi la cabina di regia dovrebbe farsi carico di mettere d’accordo, nell’ambito delle conferenze di servizio, tutte le autorità interessate dalle autorizzazioni richieste, che, naturalmente, però rispondono a regole diverse. Voglio ricordare che il governo del territorio, cioè l’urbanistica, è materia di competenza concorrente. Quindi le regioni disciplinano ciascuna la propria urbanistica. La richiesta dell’autorizzazione comporta anche la concessione dell’autorizzazione in deroga secondo questa disciplina speciale e velocizzata. Ma una cosa è che la deroga la fa la Regione che ha disciplinato la materia, una cosa è che lo fa lo Stato per più Regioni che hanno disciplinato la materia in maniera diversa, perché a quel punto potrebbe essere una deroga fatta dallo Stato e allora la Corte Costituzionale potrebbe dire che viene smontato il sistema della urbanistica per come lo conosciamo a livello regionale. Questo per darvi un quadro della situazione, e mi dispiace di essere inesaustivo. Un elemento fondamentale di questa nuova disciplina è il nuovo regime di aiuto che viene introdotto e soprattutto l’introduzione del principio di cumulabilità; era stato chiesto già in precedenza, a più voce, il fatto che si potessero cumulare gli incentivi a livello territoriale. Naturalmente, per noi questa della Zes diventa un’occasione: si parla di questioni meridionali ormai da più di 100 anni nel nostro Paese, però questa effettivamente può essere l’occasione per rilanciare l’economia del nostro Mezzogiorno – da come parlo avrete capito che sono meridionale, quindi non c’è bisogno di dire che c’è anche un coinvolgimento emotivo per questa mia affermazione. Fatto sta però che, anche per quanto è stato detto in precedenza proprio nell’incipit di questo convegno sia dal rettore Cannata sia dal Presidente Fara, obiettivamente c’è da sperare che questa classe politica sia in grado di portare avanti un qualcosa che sia almeno lineare e chiaro, perché ogni volta che si cambiano le regole, naturalmente, poi queste vanno assestate. Come per l’autonomia differenziata, di cui abbiamo visto l’’approvazione nel 2024, ma che sta nelle costituzioni dal 2001, per la cui approvazione hanno impiegato 23 anni. Ora, se noi cambiamo le regole prima che queste regole si stabilizzino, cioè prima che la Corte Costituzionale dica che va bene, che il Consiglio di Stato dica che va bene, noi rischiamo di perdere il treno dei fondi del PNRR. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie al professor D’Alessandro. Adesso passiamo dall’innovazione del quadro normativo, al diritto commerciale con il Professor Francesco Fimmanò, che è Professore ordinario di Diritto Commerciale all’Universitas Mercatorum: “Zes unica tra strategia unitaria e localismi regionali”.

FRANCESCO FIMMANÒ: Grazie innanzitutto. Grazie a tutti voi di essere qui nella nostra università a tutti gli attori di questo convegno. Spero che, con tutti gli attori di questa iniziativa, si possa costituire una sorta di osservatorio su quello che si farà in relazione a quello che vi sto per dire, perché volevo affrontare in maniera apparentemente lontana dalla mia materia, ma quanto mai vicina, il tema da un punto di vista proprio macro e partire da questo. Qual è il grande problema italiano, addirittura preunitario? Il grande problema italiano – e credetemi non lo dico questa volta né da meridionale e non lo dico tra l’altro da liberale, quasi apolitico – è che qualsiasi cosa faccia l’Italia sul decentramento è un disastro annunciato, perché è la storia di questo Paese. Ma non è solo la storia di questo Paese: anche in paesi confederati, poi diventati federati come gli Stati Uniti, a un certo punto in Tennessee, dove c’era un’intermediazione impropria spaventosa, durante il New Deal dovettero centralizzare i poteri per far risollevare il territorio. Ho avuto l’onore, per ragioni legate alla mia famiglia, a mio padre che in realtà era impegnato nelle politiche meridionalista e poi alla mia scuola di diritto commerciale, di conoscere quando ero ragazzo grandi esponenti del meridionalismo concreto, cioè di quello che ha fatto, e l’Italia è stata sempre arretrata, perché è arrivata tardi all’unificazione a differenza della Germania, la cui forza deriva solo dal fatto che in realtà c’è arrivata con lo Zollverein circa 60-70 anni prima con l’unione industriale. C’è stata però la Golden Age (1950-1968) che tutto il mondo ha studiato e che non è stata niente di speciale: è stata una cosa pensata a tavolino, da grandi elaboratori – tenete conto che oggi quello che manca è l’elaborazione, in senso negativo o positivo: dietro Pericle c’era Aristotele, dietro anche ai peggiori drammi dell’umanità c’è stata un’elaborazione, che oggi per una serie di ragioni, legate alla globalizzazione, manca. Quella elaborazione che io accredito in particolare – essendo un democristiano che non ha vissuto la Democrazia Cristiana, per ragioni di età manco l’ho potuto votare – perché sono uno studioso della scuola di Camaldoli, alle idee di quel periodo storico che hanno dato seguito all’Italia “libera e forte”. In realtà tutti erano convinti che il meridionale lavora male sul proprio territorio. Me lo hanno detto fisicamente persone come Gabriele Pescatore, che è stato il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno, perché noi abbiamo l’intermediazione impropria. Allora noi abbiamo un problema di intermediazione impropria atavica, legata addirittura a un fatto culturale genetico. Tutta la Cassa per il Mezzogiorno, tutto il fenomeno esploso negli anni Cinquanta dove noi abbiamo addirittura avuto in periodi di espansione un recupero sul Nord del 2% di Pil, una cosa che gli economisti ancora oggi studiano, deriva dal fatto che a un certo punto si disse: “guardate, qua la dobbiamo gestire dal centro, esattamente come era successo con la VAT cioè la Valley Authority Tennessee” e infatti il mio amico costituzionalista già evidenzia i problemi, che sono le Regioni. Le Regioni sono un disastro a prescindere da tutto, da noi peggio, perché mentre a Verona non sono abituati a fare intervenire il Presidente della Regione perché il portiere di notte vuole lavorare di giorno, cioè a livelli proprio pazzeschi, da noi al Sud siamo abituati. Non è che il meridionale è peggiore, il meridionale ha il problema della pentola bucata. Ma questo non dico io, bensì studiosi che hanno studiato il mancato “Big Push”, così si chiama la vicenda italiana, quando erano tutti convinti che l’Italia avrebbe superato tutti, intorno al 1965-66, dopodiché c’è il disastro, legato al localismo. Perciò ho chiesto di chiamare questa mia relazione “localismo”. Il problema della Zes unica in questa prospettiva è esattamente quello che è avvenuto con la Cassa per il Mezzogiorno. Voglio dire una cosa: per pura coincidenza la Cassa per il Mezzogiorno ha gestito esattamente i soldi quantitativamente del PNRR, solo che ha fatto 16.000 km di strade, 21.000 km di acquedotti, 42.000 km di reti elettriche, 1600 scuole e 165 ospedali. Questi numeri li so a memoria, perché sono impressionanti; immaginate se oggi si volesse intraprendere un progetto simile; noi per fare la Salerno-Reggio Calabria ci abbiamo messo 30 anni. I dati sono impietosi. La Zes Unica è legata al PNRR: andate a guardare, anche rispetto alla clausola di perequazione del 34%, che fin quando sono i Ministeri l’apparato centrale che realizza, la stanno attuando; dopo, vedrete che succederà. Da questo punto di vista, è ovvio che la centralizzazione di tutte le attività si lega a un altro grande errore fatto nel Paese. Il Paese ha sempre mancato, per sua struttura, della grande impresa. La grande impresa era pubblica: è vero che si assumeva più gente, c’era una ridistribuzione, ma oggi state certi che se ci fosse la Telecom sarebbe una delle più grandi imprese al mondo, come, con tutti i difetti, avviene con le Ferrovie. Autostrade abbiamo dovuto ricomprarla. Allora come posso giudicare la Zes Unica, se non bene. Il problema è: consentiranno di superare i localismi di fare i laghetti a Carditello (che è un paese che vicino al mio paese), o cose proprio senza senso? Le grandi impostazioni, il Paese (che è arretrato da punto di vista infrastrutturale) ce le ha e sono quelle che conosciamo bene: i valichi, la rete commerciale, l’Alta velocità, e non c’è molto da ipotizzare per poter spendere. Il problema è questo localismo. Il problema costituzionale a mio avviso va superato, perché tanto ormai le Regioni ci sono, sono un disastro ormai fatto e anche qualitativamente sono scadenti, perché in realtà la grande burocrazia italiana è sempre appartenuta ai Ministeri, quindi basta vedere nelle Regioni qualcosa che va benino, l’agricoltura ad esempio, semplicemente perché vi sono stati trasferiti quelli del Ministero. Da noi è ancora più un disastro perché le assunzioni furono fatte a gente che aveva niente da fare, gente che non ha uffici e tutt’ora a 30 anni, 40 anni di distanza non sa manco qual è il mestiere. La Zes Unica può essere una grande opportunità. Io avevo suggerito anni fa che questa dovesse essere accompagnata a una previsione costituzionale che comunque c’è (mi pare sia quella comma 8, 117 cioè la cooperazione rafforzata). Una Zes Unica con priorità, obiettivi, come si può non condividere? Ma la sua esecuzione secondo me deve passare per un approccio politico inevitabilmente; l’approccio politico di un tecnico che si pone nella Zes come faceva la Cassa per il Mezzogiorno, sebbene questa avesse tutta un’altra struttura di Stato. Poi vorrei dire una cosa: noi sappiamo tutti perché esistono le Regioni, tutti sapevano, anche in sede costituzionale, che non avrebbero funzionato. Il problema è che c’era stato il fascismo e in realtà il decentramento è figlio della paura dello Stato centrale per colpa del fascismo. Basta leggere i lavori preparatori su questi temi. Come superare questo? La soluzione può essere solo politica, non normativa, non è che si torna indietro; l’occasione è troppo ghiotta e la Zes Unica può essere il braccio armato però che richiede una forza politica, altrimenti avremo i soliti bei ragionamenti, studi di fattibilità, però poi in concreto si ripresenteranno i soliti problemi rispetto poi all’operatività, i ricorsi, le storie, perché di progetti di questo tipo in un contesto di localismo, ne ho visti tanti. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie a lei. Allora, Professor Aldo Berlinguer, Presidente dell’Osservatorio Eurispes sul’insularità e sulle aree interne. Il titolo è: “Zes Unica e coesione economico-sociale: un binomio possibile”. Ho letto un suo articolo sull’Unione Sarda del 27 gennaio in cui in maniera provocatoria dice “il Mezzogiorno aboliamo”. Le chiedo di partire da qui.

ALDO BERLINGUER: Grazie, grazie a chi organizza questa iniziativa, a chi ci ospita. Mi fa sempre molto piacere parlare delle Zone economiche speciali, lo facciamo spesso da qualche tempo a questa parte e mi fa piacere sia perché mi occupo del tema a livello accademico, ma anche perché ho vissuto l’esperienza della istituzione delle Zone economiche speciali, passando circa un anno in Puglia come coordinatore del gruppo della Task Force sulle Zes, sia Adriatica che Ionica, con varie trasferte in Molise e in Basilicata visto che ambedue le zone sono interregionali, poi aiutando i consorzi industriali della Sardegna a fare un progetto da consegnare alla Regione Sardegna visto che è stata l’ultima a istituire la Zes, poi passando un altro annetto in Sicilia nel costruire le due Zone economiche speciali, Orientale e Occidentale. Qualcuno mi potrebbe dire, “ma in tutto questo tempo che cosa hai fatto in queste Regioni?” Ecco, io credo che se noi non partiamo da qui forse un’idea di che cosa è successo in questa materia compiuta non riusciamo ad averla. Perché c’è voluto tutto quel tempo per istituire queste Zone economiche speciali, che avevano la definizione che è stata mostrata e sono sorte su territori ad opera delle Regioni che hanno fatto i piani strategici su una materia che non conoscevano. C’è stato da fare tutto: sentire tutti gli stakeholder territoriali (parti datoriali, parti sindacali, Comuni, Province, consorzi industriali). C’è stato da affrontare tutti i vincoli dei vari territori, dai siti di interesse nazionale, il tema delle bonifiche il demanio, le autorità portuali. C’è stato da concertare quali misure anche di fiscalità locale adottare, tributi manovrabili, quali contributi, quale personale; non bastava, per esempio, allo Stato che la Regione indicasse le cose da fare, ma non indicasse le unità di personale dedicate allo scopo. Quei nessi economico-funzionali non sono una parolina che sembra un complemento d’arredo; in realtà è una parola molto implicante, significa capire quali infrastrutture collegano, debbano collegare le aree industriali del Mezzogiorno con le infrastrutture, in particolare i porti, ma anche gli aeroporti, perché la vecchia disciplina parlava anche di aeroporti, all’insaputa degli aeroporti, perché è toccato audire gli aeroporti i quali non avevano indicazioni e quindi affrontavano la materia con qualche cautela. E infatti non ci sono entrati nelle Zes gli aeroporti. Ma noi quali aree dobbiamo destinare? Quelle demaniali, quelle a vocazione industriale, quali? I parcheggi? Le aree commerciali? E chi ce lo dice e chi firma? Allora, si è lamentato il tema del ritardo, ma il ritardo è stato fatto da una legislazione che impattava fortissimamente sulle Regioni che dovevano concepire queste Zone economiche speciali senza avere un’idea pregressa, perché la prima caratteristica delle nostre Zone economiche speciali è che nascono ope legis. E quale legis o leges? Decreti legge, perché ambedue, la vecchia Zes e la nuova Zes nascono con decreti legge, cioè con necessità e urgenza. E già qui può sorgere qualche interrogativo. Com’è che un paese decide di sviluppare Zone economiche speciali, che sono una roba significativa, sull’onda dell’urgenza? Quindi nascono per leggi; non intorno a un progetto industriale già definito. Tanger Med nasce perché la Renault stanzia un miliardo per costruire la Dacia in Marocco e perché là attorno si sviluppa un progetto industriale, logistico, infrastrutturale che tiene conto dell’ubicazione strategica di quel luogo, a poche miglia della linea di navigazione media tra Suez e Gibilterra e a poche miglia da Gibilterra, perché quello era un luogo strategico. Quando il Ministro dei vincenti, cui va tutto l’apprezzamento per aver fatto finalmente questo passo, vara la disciplina non è che alle regioni avessero chiaro quali porti dover potenziare – anzi venivamo da una relazione della Corte dei Conti europea che ci diceva che i porti in Italia avevano dissipato una valanga di risorse, perché c’è stata una polverizzazione di investimenti senza una visione complessiva. È per questo che le Zone economiche speciali nascono a valle della riforma Delrio che aveva tentato nella portualità di mettere a sistema l’autorità di sistema portuale. Le Zes sono nate lì: troppi porti, troppe autorità, cerchiamo di fare sistema. Nascono ope legis, con decreti legge, senza un progetto industriale per ciascuna, con l’invito “Regioni, attrezzatevi e diteci voi dove fare queste Zone economiche sociali”. Con una formula matematica, perché anche qui qualcuno se lo sarà pure chiesto: ma come mai in Molise c’erano 10 km quadrati disponibili, anzi 6, 10 in Basilicata, 44 in Puglia, 55 in Sicilia, 27 in Sardegna, come mai? Formula matematica: le Zes avranno una magnitudine esattamente proporzionale al dato demografico e alla superficie della regione. Sono uno strumento non di sviluppo economico, non di politica infrastrutturale, ma di coesione economico-sociale. Le Zes In Italia nascono sotto questa stella, che non è la stessa stella con la quale nasce Port Said o Tanger Med: è un’altra stella. Le nostre Zes nascono come funzione taumaturgica, per risolvere i problemi di porzioni del Mezzogiorno; nascono per cercare di risolvere il problema atavico dell’arretratezza di porzioni di territori cercando di rimettere in dialogo tra loro le aree produttive con le infrastrutture della globalizzazione. Come fa un imprenditore che sta nell’hinterland lucano, o siciliano, o sardo a competere con il mondo globalizzato se per arrivare banalmente al porto deve fare strade provinciali impervie, probabilmente anche lesionate dal dissesto idrogeologico e via discorrendo? Allora si cerca di fare questo. Però dobbiamo essere avveduti di questo, questa è la matrice istitutiva delle nostre Zes che non è, ripeto, né lo sviluppo economico stricto sensu, né la politica infrastrutturale; però avevano il pregio di cercare di mettere d’accordo tutti e tre. Infatti dovevano sorgere intorno ai porti, infatti c’erano i nessi economico-funzionali tra i retroporti e i porti, non potevi scegliere qualsiasi area. La Zes sarda, la famosa ciambella, pure essendo nata sotto la stella della coesione economico-sociale, si è dimenticata dell’interno. Voi sapete che le Isole vivono un doppio isolamento: il primo in quanto Isole, il secondo in quanto aree interne, interne alle isole, che sono isolate anche dai porti e dalle infrastrutture dell’isola stessa. Quindi la stella sotto cui nascono le Zes è questa, i vizi all’origine sono tanti, per esempio la programmazione. Le Zes dovevano durare 7 anni, più 7 più 7, massimo 21 anni; non si è mai deciso di allocare risorse per più di 3 anni. Cioè viene l’investitore estero e gli si dice “puoi investire qui e stare qui per 21 anni, ma te lo dirò cammin facendo quante risorse metterò su questo tuo progetto industriale”; ditemi chi accetta una proposta del genere. Ogni anno ci riserviamo in finanziaria di allocare le risorse utili a sostenere questi crediti di imposta che potrebbero invece prosciugarsi nel breve periodo. Disallineamento della durata rispetto alle risorse; la specialità c’era e la specialità era molto onerosa, bisognava indicare le particelle catastali. Vi rendete conto cosa è successo in queste Regioni ,andando in complessi manufatti anche molto grandi a, come dire, scindere l’atomo per capire quale proprietà rientrava nella Zes e quale no? E molti lamentavano che metà del loro capannone rientrava nella Zes e l’altra no. Quali produzioni richiamare e quali favorire? Anche lì, bisognava scegliere deve essere vuota questa Zes o piena? Si va a scegliere aree con già le imprese dentro, tutte occupate, perché vogliamo avvantaggiare chi già c’è o vogliamo richiamare chi non c’è? Tutte queste valutazioni le abbiamo dovute fare sul campo, incontrando persone che ti dicevano fuori verbale, perché dovevamo compilare i verbali e allegarli ai piani strategici, qui se arriva un investitore scappa a gambe levate, perché le procedure espropriative di queste are non si sono mai compiute, ma anche la dichiarazione di pubblica utilità, ci sono ancora i proprietari pronti col fucile alla finestra per aspettare l’investitore e poi chiedergli di pagare dazio, ci sono abusi edilizi, ci sono i problemi delle bonifiche che non sono mai state completate. Noi dobbiamo parlare di questo quando parliamo delle aree industriale, del Mezzogiorno; non è che parliamo di un tappeto rosso sul quale arriva l’investitore. Abbiamo dovuto fare tutto questo, compreso interpellare tutti gli stakeholder, perché in quell’area, banalmente, c’è la Regia Trazzera siciliana. Cos’è la regia Trazzera siciliana? Sono 11.000 km di strade siciliane a manto naturale che sono disciplinate da un decreto luogotenenziale del 1917 e non sono una piccola cosa, sono larghe 37,98 m, 18 canne e due palmi, perché qualcuno si è dovuto peritare di andarsi a studiare il decreto luogotenenziale del 1917 e cercare di parlare con l’ufficio regionale che detiene il demanio armentizio e cercare di capire se quella Trazzera andava dentro la Zes o no. Allora, questo è successo dal 2017 fino a ieri, con ritardo, con fatica; si è riusciti in tutte le operazioni? Probabilmente no, però ci si è scontrati con quello che è cercare di rimettere insieme pezzi di aree industriali, aree portuali, aree aeroportuali, aree demaniali del Mezzogiorno e cercare di farle ripartire. Oggi, retromarcia. Non è più questa la definizione ma un’altra. Non sono più coinvolte le Regioni, non sono più coinvolte le autorità di sistema portuale, non ci sono più i nessi economici funzionali con i porti e gli aeroporti. Tutto viene accentrato in una visione che riconduce tutti i processi qui a Roma; non c’è più il problema delle particelle catastali, tutto è incluso, quel lavoro viene archiviato come dicevano gli illuministi, un tratto di penna del legislatore, intere biblioteche vanno al macero e questo è accaduto anche in questo caso. Il dato di fatto è che quell’esperienza non va archiviata del tutto, perché quell’esperienza ci insegna che ci sono gli otto piani strategici delle regioni che sono state interessate da questo che continuano avere una visione sui loro territori. Confluiranno nel piano strategico unico? In che misura? E i presidi territoriali, come è ormai dopo una proroga annunciato al primo di marzo, evaporeranno del tutto, rimarrà solo la struttura centrale? Visto che, tra l’altro, ci sono contenziosi alla Corte può darsi pure che il Governo torni sull’argomento con qualche innesto, con qualche correzione; dal 2017 a oggi se ne saranno fatte una ventina di correzioni, si è fatto un piano grandi investimenti e si è smantellato il giorno dopo, si erano incaricati i presidenti dell’autorità di sistema portuale poi abbiamo detto no, non avete risorse, facciamo i commissari; ne abbiamo fatti tantissimi di innesti, forse converrà farne ancora. Guarderei a cosa fanno anche i paesi stranieri perché le Zes nel mondo hanno talune caratteristiche che non possiamo ignorare. La prima: sorgono in luoghi strategici. Quindi anche la nostra che adesso è un contenitore unico, ma dovrà pure premiare degli investimenti che saranno localizzati e atterreranno da qualche parte. Hanno il carattere della specialità; per essere speciale vuol dire che chi è dentro beneficia, chi è fuori non ne beneficia; questo anche è un problema, giuridico in molti casi da affrontare. Questo grande contenitore la specialità l’ha persa, non so come si può recuperare una specialità. Concentrazione di risorse e concentrazione di competenze: ovunque è così; non solo, approccio pattizio tra l’autorità di gestione e l’investitore. Patti chiari e amicizia lunga. Vieni qui c’è un pacchetto localizzativo, i benefici durano questo torno d’anni non uno in meno, le condizioni sono chiarissime, tu avrai questi benefici se investi queste somme, funziona così. Dentro a questo contenitore della Zes Unica c’è questo approccio pattizio? L’investitore che vuole andare in Puglia, in Basilicata, in Sardegna, viene a Roma a negoziare il suo rapporto con quella Zes, la sua durata, quanto investe? Lui deve fare un piano industriale, sapere quanto dureranno gli incentivi e se si guarda indietro lui vede che ogni 2/3 mesi cambiavano le norme, cambiavano le regole del gioco, questo non è propriamente un attrattore di investimenti. La scelta è stata fatta, conviene prendere il buono della scelta che è stata fatta, ci saranno poi le vicende pendenti ma non perdiamo l’insegnamento di ciò che è stato fino oggi, sia per quello che ci ha insegnato sulle aree industriali del Mezzogiorno, come ricollegarle ai porti ed evitare che ci sia una frattura, perché c’è tra molte di esse e le infrastrutture, e poi fare tesoro di una messa a sistema di competenze effettivamente molto utile. Abbiamo passato mesi, giornate per cercare di mettere d’accordo enti su processi amministrativi. Andiamo avanti sulla direzione intrapresa; ormai la via è stata tracciata non perdiamo il bagaglio di esperienze che ci siamo formati cammin facendo. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie al Professor Berlinguer per l’analisi, anche per le tante domande fatte che lasciano nodi sicuramente da sciogliere. Passiamo all’avvocato Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche Fiscali, perché c’è anche un tema di razionalizzazione delle misure fiscali da affrontare.

GIOVANBATTISTA PALUMBO: Grazie. Intanto buongiorno a tutti. Io di solito preparo sempre una mia bozza di una possibile relazione e poi dopo la lascio perdere, perché sono troppo stimolato dagli interventi degli altri. Anche questa volta, essendo il mio anche l’ultimo intervento, mi piace fare anche un po’ un filo comune di quello che è stato detto finora, perché va poi al tema di cui devo occuparmi, cioè di quali sono e in che modo vengono reperite queste risorse per dare il volano come leva fiscale a questi investimenti. Ora si è appunto partiti con una prima affermazione, dicendo che questa è geopolitica, e questo è il punto focale. Perché questa affermazione della politica ha poi portato al cambio delle regole in corso d’opera di cui si è già detto, e cioè con un cambio della filosofia delle Zes, che ha però una ratio che è stata accennata. Si è quindi parlato di accentramento organizzativo, con la cabina di regia in CdM; si è parlato del principio degli aiuti cumulabili, che è una novità anche sotto profilo fiscale; si è parlato della centralizzazione imprenditoriale e del superamento del localismo. Tutti temi che mirano, appunto, a dare una grande opportunità come è già stato detto da altri relatori e questo si va a connettere con quella scelta di geopolitica che abbiamo detto. La Zes è stata chiamata “il braccio armato” per dare poi effettività a questi obiettivi. Ma per fare le guerre ci vogliono i soldi – il tema è sempre quello – e i soldi che vengono dati alle imprese  sono il vero braccio armato per fare gli investimenti che devono dare maggiore competitività al sistema Paese e che sono reperiti anche tramite un sistema di regolazioni fiscali. Ora, nel contrasto all’evasione fiscale vale sempre il motto di Giovanni Falcone che diceva “follow the money”. Anche qui, per capire le effettive possibilità di successo della Zes unica, noi dobbiamo seguire i soldi: la politica vuole che vengano investite queste risorse nel Sud. Nel Sud come macro zona, quindi non più come otto Zes regionali con i propri localismi, con le proprie esigenze. Perché nel Sud? Perché vedendolo da quella cartina, il Sud è dentro il bacino del mar Mediterraneo, in un contesto, è stato detto, di sempre più forte globalizzazione – quindi senza fare massa critica che consenta di avere oggi qual è la Zes unica nel Sud un player a livello mondiale che può valere 83 miliardi di euro – un contesto che è, come è già stato accennato nel caso di Tanger Med e l’esperienza di Suez, un contesto in cui gli altri paesi che affacciano in questo mare hanno già delle forti esperienze di Zes e freezone. Quello che in un futuro è auspicabile è anche superare il limite del ZES unica. Cioè, io vado oltre ancora per dire che le varie linee di vari paesi del bacino – quindi Egitto, Tunisia, Turchia, eccetera – dovrebbero tutte quante unirsi in un solo player con regole comuni che possano fare massa contro quei BRICS di cui prima abbiamo parlato. Diciamo, quindi, che si torna all’affermazione di partenza: questa è geopolitica prima ancora che interessi nazionali, regionali, locali e in questo contesto le detrazioni fiscali sono uno degli strumenti fondamentali. Come è stato detto, gli interventi e gli investimenti vengono agevolati tramite azioni di tipo amministrativo ma anche fiscale, che possono consistere in vari strumenti – dopo se c’è il tempo faccio anche dei brevi flash su quelli che sono adottati negli altri paesi che affacciano sul Mediterraneo – e che vanno dal esenzioni appunto la riduzione di imposta sul reddito delle società, agli ammortamenti accelerati o rafforzati a crediti di imposta sugli investimenti, a delle riduzioni delle aliquote sui dividendi, alle regolazioni doganali all’esenzione dall’Iva. Insomma, possono essere tante le misure e anche su quale puntare, è una scelta politica. Ora, con la creazione della Zes unica si è messo a bilancio a disposizione della misura fondamentale per sostenere questi investimenti, cioè il credito di imposta, ben 1,8 miliardi di euro, che sono un primo pacchetto che senz’altro può consentire di lanciare questa zona. In che cosa consiste il credito di imposta? Consiste appunto, in base alla localizzazione dell’impresa e alla dimensione dell’impresa, in un credito di imposta sugli investimenti in beni strumentali nuovi, che facciano parte di un progetto di investimento e quindi sull’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature, acquisto di terreni e di immobili seppure anche qui nel limite del valore del 50% dell’investimento complessivo ed è data per gli investimenti che vengono effettuati dal 10 gennaio 2024 al 15 novembre 2024 per importi non inferiori a 200.000 e non superiori a 100 milioni di euro. Ora, il credito di imposta, come prima è stato accennato – questa è una delle grosse novità insieme ad un’altra che fra poco vedremo – è pure cumulabile con altre agevolazioni fiscali con altri aiuti de minimis che abbiano anche ad oggetto gli stessi costi, quindi a condizione soltanto che tale cumulo non porti al superamento dell’intensità che è prevista dalla carta d’aiuti 2022-2027. Questo ha portato ad un primo vantaggio rispetto alle precedenti Zes, ovvero ad un incremento della soglia possibile di agevolazione fiscale, laddove ora viene previsto che in base alle dimensioni di un’impresa, che sia essa grande, media o piccola. Per le grandi imprese un credito di imposta nella misura del 15% per l’Abruzzo, del 30% per Molise, Basilicata e Sardegna e del 40% per Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Queste percentuali sono poi incrementate del 10% nel caso di una media impresa, e del 20% per le piccole imprese laddove la distinzione tra media, grande e piccola è quella di cui alla raccomandazione 361 del 2003, quindi in base a se un’impresa ha più di 250 dipendenti, tra 50 e 250, un volume e un fatturato superiore a 50 milioni, tra 10 e 50 o sotto i 10 milioni. Quindi, diciamo che varia in base al soggetto che interviene e queste percentuali, come prima dicevo, sono superiori a quelle che erano previste per le precedenti Zes che invece andavano a prevedere sempre in base alle dimensioni dell’impresa una percentuale del 25%, 35% e 45% per tutte le varie regioni, quindi eccetto che per l’Abruzzo, per il quale era previsto 10%, 20% e 30%. Si tratta di scelte politiche che passano anche tramite quali settori vengono esclusi da questi interventi; sono esclusi per esempio i settori dell’industria carbonifera, siderurgica, delle infrastrutture per la distribuzione dell’energia, del settore finanziario creditizio ed assicurativo. Quindi, è sempre politica la scelta su che cosa puntare. Ora, qui è stata fatta un’innovazione, come prima dicevo, e cioè che a differenza della precedente disciplina sulle Zes regionali, il decreto Sud non sembra più richiedere che per tutti i beni sia previsto il requisito della novità, dato che il termine “nuovi” non figura più nel testo normativo con riferimento al concetto generale di bene strumentale, ma è solo sulla categoria “macchinari, impianti o attrezzature”. Questo quindi può voler dire che si può consentire di andare a riqualificare anche immobili dismessi con ulteriore vantaggio per i territori, quindi scelte politiche perché il fine è quello di fare un player che possa competere con gli altri soggetti. Quali sono gli altri soggetti? Intanto i nostri primi concorrenti, che, però in funzione prospettica, dovrebbero essere poi i nostri futuri alleati, sono i vari paesi che affacciano sul Mediterraneo come, ad esempio, il Marocco che è stato prima richiamato per l’esempio di Tanger Med e che ha una free zone molto strutturata con lo sviluppo di una capacità di attrarre, per esempio, 600 imprese di tutti i settori produttivi con un Export di più di 4 miliardi di euro e questo grazie anche alle regolazioni fiscali che sono previste in quel contesto, tra cui: l’esenzione dall’imposta del registro e di bollo per l’aumento, il conferimento di capitali, l’esenzione di imposta sui brevetti e sulla tassazione urbana per 15 anni e l’esenzione di imposta sul reddito delle società per 5 anni e dopo con un’aliquota ridotta all’8,75% fino al 20° anno, e l’esenzione fiscale sui prodotti azionari, sui proventi assimilati; sul rimpatrio dei capitali e l’esenzione Iva per le merci. Insomma, un bel pacchetto di mischia che ha consentito un grande sviluppo. Così come nella zona del Canale di Suez per l’Egitto, anche questa è una zona molto strutturata con due aree integrate, due di sviluppo e quattro porti, in cui sono previste importazioni esenti dai dazi doganali, sono previsti  dazi sull’esportazioni soltanto sulle materie prime importate e non sul prodotto finale. Anche lo sviluppo di una nuova tax area, una free zone quale quella di Nuweiba, in cui viene prevista l’esenzione triennale del 50% all’imposta sui redditi per i progetti avviati, oppure rinnovabili nel tempo. Anche la Turchia, abbiamo detto, ha più di 20 free zone in cui abbiamo vantaggi come l’esenzione integrale dall’imposta sulle imprese, dall’imposta sul valore aggiunto, dall’imposta sui consumi e anche dall’imposta sul reddito degli stessi dipendenti, laddove si parli di aziende che esportano per più dell’85%. Infine la Tunisia, che ha due parchi di attività economiche quali di Bizerta e di Zarzis-Gerba, in cui anche qui ci sono particolari benefici fiscali: per esempio, tutti i lavori relativi alle infrastrutture sono assoggettati ad imposta del 20% sui redditi lordi e viene anche prevista un’imposta sulle società ridotte al 50%, ma solo a partire dall’undicesimo anno dalla prima operazione di esportazione. Insomma, tutti i vari paesi si sono attrezzati per far sì che le imprese nazionali o quelli che vogliono investire abbiano un pacchetto che gli possa consentire grazie a queste agevolazioni di essere competitivi. Certo, come viene previsto anche nel nostro sistema normativo, devono poi restare per 5 anni, devono mantenere quella struttura produttiva in quegli immobili o quelle attrezzature che hanno goduto di questo beneficio fiscale; poi dopo, come prima accennavo, su ogni regola si crea purtroppo un rischio di frode: anche qui perché magari potrà anche succedere che delle imprese vadano ad investire e poi dopo invece, in qualche altra maniera, lasciano il territorio, lasciano l’investimento, prendono il credito ad imposta tanto ormai c’è anche un expertise molto forte con il credito ad imposte sul super bonus degli immobili – su cui abbiamo visto che ci sono anche frodi. Quindi anche qui lo Stato deve essere in grado di controllare effettivamente queste risorse, vengono poi spese per il fine positivo che abbiamo già detto.

FABIO INSENGA: Grazie all’avvocato Palumbo. Grazie a tutti i relatori che hanno partecipato a questa sessione. Prima di dare inizio alla nuova sessione vorrei salutare l’Onorevole Alessandro Giglio Vigna, Presidente della Commissione Affari Europei della Camera che ha assistito ai nostri lavori e che è qui in sala e per la nuova sessione: “Zes Unica, progettazione e gestione di nuovi modelli geopolitici delle infrastrutture” chiamo qui al tavolo il Dottor Marco Rettighieri, docente di Project Management alla Luis business School, il dottor Ivo Blandina, Presidente Nazionale Uniontrasporti, l’Ing. Dario Lo Bosco, Presidente di Rete Ferroviaria Italiana. Parleremo di nuovi modelli geopolitici e di infrastrutture, e prego il Professor Ingegner Rettighieri di introdurre i nostri lavori, grazie.

MARCO RETTIGHIERI: Buongiorno a tutti, ringrazio innanzitutto per l’invito che ho accettato di buon grado, tanto è vero che c’è anche uno dei miei maestri che è il Prof. Dario Lo Bosco, quindi mi sento particolarmente spronato a cercare di fare bene. Posso iniziare questo mio intervento dicendo: “Sveglia!”. Abbiamo sentito tanti giuristi ed economisti parlare; io sono un ingegnere quindi vedo l’aspetto di cui andremo a trattare proprio da un altro punto di vista. Perché dico “Sveglia”? Perché l’Italia non si sta rendendo ancora conto che il mondo che ci circonda è completamente cambiato. Noi siamo ancora legati a non considerare i fattori di rischio che sono presenti sul Mediterraneo. Il Mediterraneo non è solamente quello che i nostri progenitori, gli antichi romani, chiamavano medi terraneus, ossia “mare in mezzo alle terre”, perché i romani sono stati l’unico popolo a circondare interamente il Mediterraneo, a renderlo quasi un loro lago che purtroppo non è più nostro. Il Mediterraneo lo dobbiamo considerare fino a Bab el-Mandeb, che è quel piccolissimo stretto che mette in relazione il Mar Rosso con l’Oceano Indiano. Guarda caso, è dove stanno insistendo oggi i maggiori conflitti, legandoci alla geopolitica, conflitti che stanno minando i commerci e che vedono l’Italia soffrire in modo particolare il dirottare le merci verso altre rotte. Questa è una cartina che fa vedere come i romani facevano terminare ogni loro strada che noi percorriamo tutti i giorni (Appia, Laurentina, Aurelia, eccetera) con delle rotte marittime. Non siamo nuovi a questa concezione. Una nave che arriva in un porto, come può essere quello di Palermo o Gioia Tauro, se non ha infrastrutture alle sue spalle non ha senso. Solo il 30% dei container – e ce ne sono 108 milioni in giro per il mondo, 108 milioni di TEU – transitano nel Mediterraneo. Dal 7 ottobre 2023 noi abbiamo perso il 30% di traffico marittimo che transita sul Mediterraneo. Questo significa miliardi. Tra le altre cose, quello che io chiamo “ombrello statunitense” è venuto meno: gli Stati Uniti hanno abbandonato come loro area strategica il Mediterraneo. C’è Taiwan che è molto più problematica come area rispetto al Mediterraneo. Quindi gli Stati Uniti perdono il Mediterraneo e, come per i vasi comunicanti, se c’è un canale che diminuisce ce n’è un altro che sale. Chi è che sale nel Mediterraneo? La Cina ovviamente – guardiamo il porto del Pireo che è stato acquisito dai cinesi con tutto quello che comporta – ma c’è un altro attore principale nel Mediterraneo che è la Turchia, che sta piano piano conquistando il mercato libico, guarda caso il nostro grande fornitore di energia da sempre, e sta conquistando tutto il Nord Africa. L’Italia qualcuna la definiva una “portaerei in mezzo al Mediterraneo” un grande hub logistico, un portafoglio senza soldi dentro. Perché? Perché non abbiamo le infrastrutture necessarie e sufficienti per smaltire quello che eventualmente può essere scaricato da noi. Un container che rimane nel porto in cui è arrivato per più di 15 giorni non ha senso. Il porto deve essere in grado, attraverso infrastrutture adeguate, di smaltire questo container nel più breve tempo possibile. Come Webuild Italia, di cui sono Presidente, stiamo realizzando il terzo valico a Genova proprio per far arrivare container a Genova, principale porto italiano con due milioni e mezzo di container smaltiti in un anno, nel più breve tempo possibile perché l’anacronismo e la pazzia dei nostri commerci fa sì che le merci che devono arrivare a Milano facciano prima ad arrivare a Rotterdam e poi scendere giù. Ho sentito dei bellissimi discorsi, è vero il problema delle Zes, ma senza infrastrutture noi non possiamo dare all’Italia ciò che il mondo chiede. E il mondo non sta ad aspettare noi. Penso che il Rinascimento sia stato bellissimo, ma i Comuni, le Signorie hanno portato una grave perdita di questa unità nazionale di cui invece avremmo necessità. In tutto questo quadro, noi abbiamo delle forti perturbazioni, non solo italiane dovute alle infrastrutture, ma abbiamo anche delle forti perturbazioni dovute alla crisi libica, che destabilizza un’area; abbiamo la Tunisia, che è un soggetto estremamente critico. Oltretutto le variazioni climatiche a cui stiamo assistendo stanno mettendo a rischio, ovviamente per un aumento della crisi climatica, lo spostamento e le migrazioni, e la crisi politica jihadista che sta contraddistinguendo tutta la fascia Sud del Mediterraneo comporta un flusso migratorio che noi non sappiamo minimamente gestire. Nella zona di Bab el-Mandeb vengono attaccate le navi che transitano e che mettono in relazione Est e Ovest; è il punto più stretto, è dove il Governo italiano ha spedito due fregate proprio per cercare di difendere i nostri rapporti commerciali in quella zona. Il 40% delle merci che arrivano in Italia transita in quel punto; se viene bloccato, l’unica rotta possibile è quella di fare il periplo dell’Africa. Cosa vuol dire? 15 giorni in più di navigazione, noli, personale, rischio di navigazione. Tra Cipro e l’Egitto, il Libano e Israele, l’ENI ha scoperto uno dei più grandi giacimenti di idrocarburi che esista al mondo. Lì stanno convergendo, per aumentare l’instabilità di tutta quest’area dei paesi che fanno parte della NATO. La Turchia e la Grecia che agiscono tramite Cipro vogliono sfruttare quei giacimenti; fanno tutti e due parte della stessa alleanza e sappiamo benissimo che hanno dato luogo anche a scaramucce militari fino a poco tempo fa. Quindi la Zes è importantissima, ma se non si creano i presupposti infrastrutturali noi non andremo da nessuna parte. Queste sono le rotte ante 7 ottobre 2023: Malta, l’Italia meridionale (questa enorme Zes), ma ci sono anche i porti di Trieste e di Genova. È una rete “fidel” come si suole definirla, quindi una rete fidelizzata per il trasporto dei container, perché tutte le nostre merci viaggiano attraverso i container. C’è un altro fattore da considerare. Solitamente per attraversare il canale di Panama le navi impiegano tra i 15 e i 18 giorni, perché ci sono i sistemi di chiusa, il livello del Canale di Panama deve essere continuamente variato. Il Canale di Suez no. Dopo averlo raddoppiato, il Canale di Suez permetterà il transito alle navi da 20/22mila TEU. Questo che vuol dire? Che lo standard di tutte le navi portacontainer è diventato di 20/22mila TEU. Il porto di Genova – che è il più grande insieme a quello di Trieste e di Gioia Tauro per i fondali – lo stiamo ampliando, ma per chi, se non creiamo i presupposti? Che non sono solo quelli fiscali, legislativi, ma sono soprattutto quelli in grado di permettere alle merci di viaggiare. Non possiamo permettere a nessuno di avere un container che sta in un porto per 15 giorni (a parte il deperimento delle merci che ci può essere). Dobbiamo essere attrattivi anche e soprattutto su quello. Dobbiamo dare un valore aggiunto. Forse non basta più dire Zes del Sud Italia con tutte le Regioni che abbiamo visto in precedenza, non basta più, noi dobbiamo creare un sistema-Italia per soddisfare tutte queste esigenze. Non basta più il singolo porto, o la singola regione, ma dobbiamo guardare al di là. In Italia vorrebbero investire anche alcuni Stati della Penisola Arabica. Gli Stati del cosiddetto MENA, che sono quelli che si affacciano sul Golfo persico se si è in Iran o Mare arabico se si è nella Penisola Arabica, vorrebbero investire, ma vogliono avere delle garanzie e da noi le leggi, spesso e volentieri, cambiano dalla sera alla mattina. In tutto questo si inquadra anche il piano Mattei, che tende a non sfruttare e basta gli Stati Africani, ma ad agevolare. Vedete adesso la rotta del periplo dell’Africa com’è trafficata? Tutti quei puntini sono navi. Ormai hanno cambiato tutti nuovamente percorso da Bab el-Mandeb (Canale di Suez, per capirci) al periplo dell’Africa, perché è più sicuro, anche se spendono di più. Ecco allora il perché dell’aumento delle merci che arrivano in Italia, perché una volta che fanno il periplo dell’Africa non conviene più andare nel Mediterraneo, ma conviene arrivare ai porti del Nord Europa che hanno il vantaggio di avere i canali navigabili, cosa che noi non abbiamo. Bene parlare di Zes, di questione meridionale, di legislazione che deve essere attinente a quella che è la realtà, ma noi possiamo creare tutto quello che vogliamo, ma se non c’è una rete infrastrutturale che ci permetta di andare avanti e riuscire a smerciare questi container dove serve, al centro dell’Europa, non andremo da nessuna parte. Questa è una proiezione ideata da un italiano nel 1600; come vedete non c’è ancora il Polo Sud, perché non era stato scoperto. Questa proiezione è stata adottata fino al Novecento. Noi abbiamo bisogno di idee che ci permettano di movimentare le merci. L’Italia sarebbe il posto ideale.

FABIO INSENGA: Grazie al Professor Rettighieri. Allora adesso possiamo vedere il contributo video di mister Badreddine Toukabri, Chairman of the Euro-Mediterran Chamber for Industry and Enterprise of Tunis.

BADREDDINE TOUKABRI: Voglio ringraziare prima di tutto la professoressa Laura Mazza, che è il nostro responsabile delle relazioni istituzionali con l’Italia per questa opportunità; tengo ugualmente a ringraziare il Presidente di Eurispes Gian Maria Fara per questa opportunità e per l’invito al forum “Zes Unica del Mediterraneo”; mi avrebbe fatto molto piacere essere presente, ma le occasioni ci saranno. Allora entrando nell’argomento vorrei esporre il caso Zes della Tunisia. La Tunisia dispone di quasi 1300 km di costa sulla quale sono esposti 15 grandi porti tra porti turistici, porti commerciali e per i viaggi di passeggeri. Nel nostro caso, le Zes in Tunisia sono due principali, di cui una a Biserta, a Nordest del paese, e una a Zarzis, a Sud vicino all’isola di Gerba, isola famosa per il lato turistico. Come Camera (del Mediterraneo per l’industria e Impresa di Tunisi), ci tenevo ad aprire una parentesi; siamo già partner della Zes di Zarzis per lo sviluppo estero specialmente sull’Italia dove abbiamo fatto tutta una serie di incontri, di colloqui tra Roma, Sardegna, Puglia a Presidenza del dottor Chaouki Friaa che è il Presidente della Zes di Zarzis, che ringraziamo. Per parlare della Zes di Zarzis, questa è stata creata nel ’96, l’avviamento delle attività è iniziato in quell’anno ed è una zona sparsa su 60 ettari vicina all’aeroporto di Gerba, al porto di Zarzis, che è un grandissimo porto di trasporto merci. Entriamo nel merito dell’idea stessa della Zes che offre certi vantaggi per l’inserimento delle aziende presso la zona, di cui posso elencare l’interlocutore unico, nel senso che l’amministrazione della Zes di Zarzis si occupa totalmente della procedura cartacea, documentaria, amministrativa, per impiantarsi sulla zona. L’assistenza è totale a 360° anche nella logistica e nela ricerca di partner, di mercati, eccetera. Zarzis serve regolarmente la Francia e l’Italia e ha occasioni di trasporto merci, ad esempio tutti i porti che vanno su tre zone (europee, africane e del Medio Oriente). Metto il punto specialmente sui vantaggi fiscali della Zes di Zarzis del tipo: imposta ridotta al 15% sugli utili che in generale va al 35 al 45 per il regime normale; la sospensione dell’Iva per tutto quanto riguarda gli acquisti locali per il fabbisogno della produzione o del servizio che offre l’azienda impiantata nella Zes; l’esonero totale dalle tasse doganali per l’importazione delle materie, dei beni e le attrezzature necessarie per l’attività. Questi sono veramente il nocciolo, perché ci sono altri piccoli vantaggi, come per l’incarico della manodopera e del personale necessario, dove l’Inps è pagata al 50% dal governo con gli accordi con la Zes, più tanti altri vantaggi. Mi sono permesso di presentare al volo questa piccola parentesi della Zes di Zarzis, uguali vantaggi riguardano la Zes di Biserta. A nome della Camera Mediterranea per l’industria e per l’impresa, con la collaborazione anche della professoressa Laura Mazza che ringrazio nuovamente, sarò lieto di restare a disposizione per una collaborazione futura sia su questo forum, sia in generale. Ringrazio tutti nuovamente.

FABIO INSENGA: Allora Ing. Lo Bosco, adesso cedo la parola a lei, Presidente di Rete Ferroviaria Italiana: “L’integrazione delle reti di mobilità e logistica per lo sviluppo sostenibile euromediterraneo”.

DARIO LO BOSCO: Grazie al mio amico Fimmanò, alla dottoressa Tanilli e al Magnifico rettore, oltre che al presidente dei Lions per avermi invitato in questa giornata di studio e approfondimento e a cui dobbiamo dare un valore etico, un valore sociale, di valorizzazione delle migliori intelligenze che abbiamo in Italia, e non a caso la prolusione è stata fatta da uno dei maestri dell’ingegneria che oggi governa processi difficili di investimento come Marco Rettighieri, che ci ha dato il privilegio di averlo come direttore nazionale degli investimenti in rete ferroviaria italiana e come leader nella realizzazione delle grandi infrastrutture di connessione delle reti italiane con quelle transnazionali europee. L’esperienza è sicuramente essenziale per potere realizzare in un Unicum gestionale del Sistema-Paese le reti di mobilità e di trasporto in chiave Green digitale interconnessa, favorendo le integrazioni con i sistemi nevralgici, che sono i sistemi portuali e i sistemi aeroportuali. Ferrovie dello Stato italiane, che è guidata da Luigi Ferraris di cui vi porto un appassionato saluto, valorizzando anche Mercatorum che è l’Università delle Camere di italiane e che ha un direttore scientifico come Fimmanò che spazia non solo nel settore dell’ingegneria digitale dell’informatica ma anche soprattutto del Diritto che lo vede maestro ormai consolidato nel sistema italiano giuridico ma anche economico e sociale. La connessione di Anas, di RFI, di Italfer e di Ferrovie del Sudest ha lo scopo di contribuire allo sviluppo sostenibile, alla ripresa e resilienza del Paese non tanto perché gestiamo i 24 miliardi di euro come sola RFI per il PNRR, perché oggi abbiamo messo a terra 50 miliardi di euro, nei prossimi 10 anni e ne investiremo oltre 130 milioni di euro. Insomma un contributo straordinario per la ricrescita post pandemia ma soprattutto per far sì che l’Italia possa essere leader nei processi di integrazione delle grandi reti transnazionali europee che con l’apertura ad Est sono anche le reti paneuropee. Questo perché dal punto di vista econometrico il valore di una rete è data dal grado di interconnessione dei rami della rete al quadrato, quindi più la logistica integrata di sistema dà risposte a quello che il libro bianco 2001 dell’Unione europea aveva già disegnato in tempi non sospetti, che obbligava i sistemi meno inquinanti quali la ferrovia la via del mare a integrarsi e a realizzare i grandi corridoi già disegnati per il trasporto delle merci – un obiettivo, questo, da concretizzare anche con l’Academy e Technical Metodology di polo che abbiamo deliberato nelle settimane scorse e che porteremo a compimento con un comitato di saggi e che avrò l’onore di presiedere assieme a sua eccellenza Staglianò che è il Presidente della pontificia Accademia per le Scienze teologiche. Che c’entra la teologia con la digitalizzazione dei processi? C’entra perché mette al centro di tutto l’etica pubblica. Stiamo scrivendo un libro che riguarda proprio l’etica pubblica e l’ingegnerizzazione dei processi come un unicum inscindibile e il buon lavoro che ciascun manager può e deve fare a servizio della nazione e per rafforzare anche i rapporti di cooperazione internazionale a partire dalla cultura scientifica, tecnica tecnologica, digitale e dei sistemi Smart di cui Ferrovie dello Stato è leader in Europa e nel mondo. Noi stiamo realizzando con tutti i centri di ricerca primari in Italia, e non solo, e con le università, delle sinergie profonde che ci porteranno a realizzare questi obiettivi di crescita supportati dalla scienza e dalla conoscenza anche con un sistema di valorizzazione della formazione che ci vede storicamente, come Ferrovia dello Stato, driver di cultura in Italia e nel mondo. La geometria delle regole. la geometria si basa su cinque assiomi fondamentali che poi sono supportati da teoremi e da corollari che con questi assiomi non confliggono. Or bene la Carta Costituzionale e la guida assiomatica del buon agire, le best practice, i codici deontologici, i sistemi di tutela e di valorizzazione della lavoro in team che si realizzano in qualsiasi àmbito, non solo dei grandi gruppi ma anche della pubblica amministrazione, sono supportati dal dettato della Carta Costituzionale che ha un sistema autoportante, cioè non ha bisogno di ulteriori elementi a supporto degli indirizzi ancora assolutamente attuali e che valorizzano il lavoro di ciascuno di noi. L’articolo 2, l’articolo 4, dicono chiaramente che l’individuo è l’elemento su cui si fonda il progresso economico-sociale e anche per la dottrina sociale della Chiesa di una nazione. Ora con le altre religioni le regole sono sempre fondamentali e quindi non abbiamo bisogno di scrivere alcunché, ovviamente nel libro l’abbiamo condito di modelli matematici che servono d’aiuto al decisore e l’ingegnerizzazione dei processi, la contaminazione dei saperi valorizzano il lavoro che si fa da parte di ciascuno di noi a servizio del Paese. Un solo esempio, come atto di indirizzo e coordinamento che abbiamo emanato assieme a Giampiero Strisciuglio, che è l’amministratore delegato di RFI, la società capofila del Polo, e d’Intesa, con FS italiane abbiamo deciso di rendere obbligatorio da agosto scorso il riutilizzo delle terre da scavo per la realizzazione dei rilevati stradali e ferroviari. Significa che abbiamo detto basta alle politiche che fino a ieri ci sono state nel nostro Paese per potere caricare queste terre sui camion e produrre inquinamento acustico e atmosferico e poi trovare una discarica, che non sempre era nella stessa regione ma in Regione limitrofe o distanti, e poi prendere il materiale che ci serviva dalle cave di prestito sventrando anche le montagne con problemi ambientali immediatamente comprensibili. Ma non solo: abbiamo contrastato l’illegalità e l’infiltrazione delle mafie in questi settori nevralgici del Paese, perché lì si annidano, nei trasporti di materia, nelle cave da prestito e nelle discariche, gli interessi mafiosi. Ecco come si fa con il buon agire la lotta alla mafia ma si fa anche dando possibilità di occupazione ai nostri giovani. Per questo l’Academy Technical Metodology che con Mercatorum sarà sicuramente, con altre università primarie in Italia, un elemento fondante per dire all’Europa quali sono le direttrici di indirizzo per ingegnerizzare i processi, ma bisogna mettere soprattutto l’etica pubblica e la formazione al centro di qualsiasi attività che riguarda gli investimenti pubblici sul territorio, i presidi di controllo e l’ottimizzazione dei sistemi con le tecniche digitali. Abbiamo anche imposto che gli appalti di RFI e di Anas si facciano con un controllo digitale di tempi e costi, mai più varianti in corso d’opera che non siano giustificate come ottimizzanti i processi di sviluppo e soprattutto mantenere il cronoprogramma di progetto e pianificato perché quello che ha deciso il decisore pubblico ad un primo livello di politica economica poi si attui come politica di Ferrovie dello Stato vuole. Insomma come diceva Dante “diverse voci fan dolci note”, siamo felici e disponibili di intraprendere questo nuovo percorso che vede l’etica come elemento fondante di qualsiasi attività pubblica e dei grandi gruppi come Ferrovie dello Stato italiano.

FABIO INSENGA: Grazie, all’Ing. Lo Bosco. Ivo Blandina, Presidente Nazionale Uniontrasporti: “Zes, uno sguardo al futuro della logistica in Italia”.

IVO BLANDINA: Grazie, grazie. Chi ha organizzato questo incontro mi ha dato il piacere, l’onore di partecipare e soprattutto di ascoltare interventi di giuristi, economisti, esperti in materia fiscale, l’ingegnere Lo Bosco è sempre un piacere ascoltarlo, non solo per la sua capacità oratoria, ma soprattutto perché è portatore di elementi fondamentali per prospettare il futuro e i cambiamenti, e mi riallaccio alla sua citazione, mi riallaccio a Dante per dire “Lo tempo va dintorno con le force”, un elemento che anche adesso il professore ha richiamato come un pericolo. Perdere tempo significa sostanzialmente perdere occasioni, noi di occasioni ne stiamo perdendo tante e quella della trasformazione di questa nuova prospettazione di una Zes Unica probabilmente ha rallentato, se non addirittura bloccato, processi. Da imprenditore del Sud su alcune cose ho delle riserve, che il Professore Berlinguer ha esattamente tracciato in maniera corretta e scientifica. C’è una forte delusione, c’erano aspettative fortissime, ma c’erano un paio di miliardi di investimenti pronti a partire, tra l’altro ho condiviso anche quella fase da Vicepresidente di Confindustria Sicilia; di incontri per la redazione di piani strategici ne abbiamo fatti tanti, apportando elementi di conoscenza del tessuto imprenditoriale, ma anche traguardando quali erano i mercati maturi che bisognava abbandonare in qualche modo –mi riferisco alla raffinazione, alla produzione di energia, con olio combustibile – e invece quali erano i mercati ai quali bisognava guardare incoraggiando investimenti in digitale, in innovazione, in tecnologia, in green. Non si comprende perché è stata abbandonata di fatto un’esperienza che poteva essere invece un modulo per l’estensione della Zes a tutto il Mezzogiorno. Sono spariti alcuni elementi caratteristici, penso alle zone franche doganali. Quando crollò, a seguito della primavera araba, il regime di Ben Ali, un paio di settimane dopo ricevemmo il Presidente dell’Agenzia per l’Attrazione di Investimenti in Tunisia, che in 2 minuti disse: entro 24 ore vi diamo autorizzazioni per impianti industriali, in un pomeriggio per quelli commerciali grandi, se volete aprire un negozio in un’ora vi diamo tutto quello che vi serve. Noi siamo molto lontani da ciò, se penso che in questo momento c’è una sorta di limbo: chi combatte nelle aree industriali dimesse o quelle da riqualificare con siti di interesse nazionali e quindi caratterizzazioni, bonifiche, costi non preventivati e non preventivabili, con la sovrapposizione di strumenti di protezione come ZPS, piani paesaggistici, eccetera eccetera, con la stratificazione strumenti di pianificazione e programmazione. Ecco, tutta questa roba non è compensata da un beneficio fiscale, non è compensato da una semplificazione amministrativa. Qui effettivamente serve qualcuno che sui territori, sulle aree, abbia deroghe e poteri speciali e abbiamo visto che purtroppo serve, in un paese che per fare la diga di Genova, pure per ricostruire il ponte Morandi ha bisogno di derogare alle norme ordinarie. La prospettiva delle Zes, la prospettiva degli imprenditori che avevano pronti progetti per insediamenti o per implementazione e riconversione di impianti industriali esistenti, oggi è bloccata. Faccio un esempio su tutti; un grosso gruppo che fattura appena 45 miliardi di dollari con qualche centinaio di milioni di utile e ha uno uno stabilimento siderurgico nell’area industriale di Milazzo in area Zes, fino a poche ore fa parlava con Di Graziano per un investimento che vale una trentina di milioni di euro, mentre ad oggi è tutto fermo. E se pensiamo poi a quello che sta succedendo per questo il fattore tempo è determinante, bisogna avere delle reazioni pronte, non si può aspettare che i nostri porti del Nord Ovest e del Nord Est continuino a subire la limitazione dovuta dall’assenza di accesso al resto d’Europa. C’è un tema che riguarda i valichi e noi abbiamo i porti tappati perché non abbiamo collegamento, perché l’Austria continua a fare un ostruzionismo assurdo su cui politicamente non interviene nessuno, c’è una timida reazione da Roma e pochissimo avviene da Bruxelles. E gli scenari geopolitici influenzano tantissimo anche il nostro microcosmo, per cui dobbiamo fare i conti con quello che è successo in Ucraina, che ha bloccato di fatto le esportazione non solo del grano, ma anche di semiprodotti di materia prima verso l’Europa, dobbiamo fare i conti con quello che avviene nel Golfo di Aden nello Yemen per gli atti di pirateria, dobbiamo fare i conti con la crisi in Medio Oriente e questo ha un impatto immediato. Il tutto accoppiato probabilmente a qualche fenomeno speculativo, perché noi abbiamo visto che i noli sono schizzati nel per periodo della crescita dei costi energetici ma in maniera non proporzionale, e oggi probabilmente un eccesso di offerta di stiva va compensato di nuovo da un innalzamento dei noli. E come? Invece di passare da Suez, se ho questo inconveniente passo da sotto, tengo di più la merce a bordo anziché tenere la nave vuota in porto, banalizzo ma non è poi così lontana la realtà, anche sull’idea che noi possiamo essere partner di sistemi portuali di reti di commercio internazionale del Mediterraneo. Noi paghiamo lo scotto di essere in Europa ETS (Emission Trading System); i nostri porti pagheranno lo scotto, in termini di decine di milioni, di maggiori costi rispetto ai nostri competitori che stanno rispettivamente a Tangeri e a Porto Said. Noi saremo ulteriormente penalizzati da misure che riteniamo giuste perché l’Unione e tutti noi siamo impegnati a ridurre le emissioni, il sistema di compensazione delle emissioni avviene attraverso questo ETS che comunque ci penalizza. Noi abbiamo regimi fiscali appunto che rispetto agli altri paesi che si facciano sul Mediterraneo sono una partita persa. Quindi la valorizzazione di cosa? Se avevamo pensato e forse avevamo pensato bene che le Zes servissero soprattutto a stimolare relazioni orizzontali, non solo erano retroporto e quindi la possibilità di lanciare piccole produzioni artigianali, commerciali e anche manufatturiere, sui mercati del mondo, ma è servito a fare un’operazione di censimento di localizzazione di avvio di relazioni orizzontali sul commercio riducendo costi di trasporto, mettendo in relazione chi produce un semilavorato e chi fa un prodotto finito sulla stessa sulla stessa filiera industriale. Le Zone economiche speciali avevano individuato l’esigenza di perimetrare anche delle zone franche doganali; oggi vediamo di nuovo misure protezionistiche, innalzamento dei dazi, gli antidumping, misure che stanno nei contingenti e nei massimali. Tutto questo presuppone che si ritorni a pensare concretamente a zone franche doganali dove le cosiddette manipolazioni usuali si possono fare in franchigia oppure operazioni di trasformazione, visto che siamo un Paese che non fa altro che importare materie prime, esportare prodotto finito, forse questo è proprio il mestiere del nostro sistema manufatturiero. Mi dispiace dirlo, ma è così, facciamo un cambio completo di scenario; il paradigma della Zes Unica è molto affascinante, molto suggestivo, però avremmo dovuto farlo in altri tempi e con altri strumenti e mantenendo ovviamente in corsa tutto quello che era già partito. Vediamo se ci sarà modo e tempo di recuperare. Io sul tema specifico avevo preparato un documento proprio per far capire quali sono le dotazioni infrastrutturali e qual è l’indice di performance della dotazione infrastrutturale del Sud, delle Regioni del Sud delle Regioni in cui esistevano le Zes, ma adesso di tutto il Sud. È un po’ noioso, devo dirlo, ma lo lascio agli atti, perché ci sono delle indicazioni che sono precise, puntuali non solo sul Mezzogiorno, ma per ogni singola Regione e poi per ogni Zes c’è addirittura un report provinciale che dà una dimensione della dotazione infrastrutturale (e parlo dei porti, degli aeroporti, delle strade, delle ferrovie, della logistica). Questo per tornare ad affermare che non c’è sviluppo economico, non c’è strategia nemmeno nell’attrazione degli investimenti se non si riesce a risolvere problemi endemici, atavici che noi imprenditori conosciamo benissimo che per approvvigionarsi di materia prima o per collocare i nostri prodotti su mercati che non sono proprio di prossimità paghiamo una differenza che in termini di percentuale sul Pil è molto superiore alla media nazionale, che è già superiore rispetto a quella dei paesi europei, che è già superiore a quella di paesi in cui l’efficienza logistica (penso al Giappone) raggiunge livelli di eccellenza. Quindi non tocca a me fare una conclusione, ma una riflessione finale la faccio. Quanto siano attrattivi gli strumenti, le agevolazioni probabilmente si vede da subito, specie se sui bandi siamo abituati a vedere quando ci sono alcune cose anziché a sportello, col click day, intasiamo tutte le linee Internet. Quanto vale però in termini di prospettiva e di crescita, questo si vede nel medio-lungo periodo, non appassioniamoci troppo a soluzioni che sembrano lanciarci nella terza dimensione, il lavoro da fare è sempre quello step-by-step, una crescita che è organica, diffusa, perché nessuno deve rimanere indietro – questo slogan è un po’ abusato – è una strategia complessiva che riguarda il Sistema-Paese, quindi il sistema manufatturiero, l’agricoltura, il commercio, ma anche la mobilità delle persone, quindi il turismo, e per fare questo la differenziazione tra chi sta indietro e chi avanti forse non vale più nemmeno la pena farla. Una strategia complessiva a riguardo per tutti e allinea tutti verso la crescita economica, il progresso sociale e l’avanzamento della nostra comunità. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie al dottor Blandina e grazie a tutti i relatori che hanno animato questa sessione, sono emersi tantissimi spunti. Adesso chiamo qui per le conclusioni del convegno l’avvocato Angelo Caliendo, componente del Consiglio Direttivo di Eurispes e l’ingegner Salvatore Napolitano, coordinatore del Forum Permanente del Mediterraneo Mar-Nero.

ANGELO CALIENDO: Buongiorno, grazie veramente a tutti gli intervenuti. Il primo ringraziamento lo faccio ovviamente ai padroni di casa, al Rettore Cannata che su invito del Presidente Fara ha accolto con piacere questa sfida per il primo convegno che si tiene su questo tema delle Zes uniche. Ringrazio l’amico Salvatore Napolitano che ormai da un bel po’ di tempo ci accompagna con tutta la rete dei Lions nel lavoro di ricerca e di studi che l’Istituto porta avanti. Ringrazio i relatori. Sarò brevissimo perché dover concludere, volendo sintetizzare gli interventi di chi mi ha preceduto sarebbe impossibile, perché ogni intervento è stato singolare, non ripetitivo, serio ma, soprattutto, ricco di tanti spunti, su un argomento, questo della Zes unica, che ha generato da subito, come in Italia avviene spesso, un dibattito calcistico che vede contrapposti da un lato i Presidenti delle Regioni e dall’altro il Governo centrale che ha fatto una scelta di allineamento al PNRR cercando di poter sfruttare al meglio i vantaggi derivanti da questa opportunità che l’Unione europea ci dà. Diceva il professore D’Alessandro, questa nuova Zes si discosta da quello che è storicamente il concetto di Zes: aree portuali con sviluppo dell’area retroportuale. Però dobbiamo dire che già nella vecchia Zes ci troviamo in un discorso diverso perché, immaginiamo la Regione Campania, tra l’area di Nola e quella di Pomigliano d’Arco c’è un buco, un buco dovuto a che cosa? Al fatto che abbiamo dovuto regalare dei chilometri quadrati all’alta Irpinia che, voi immaginate, non è certo collegata agevolmente con le aree aeroportuali perché c’era la necessità di accontentare un noto esponente politico che reggeva all’epoca la maggioranza regionale. Questa discussione fa capire come si sono evolute le vecchie Zes nel nostro sistema regionale, con un modo di fare italico, che poi come diceva Fimmanò nel nostro Meridione assume caratteri molto più accentuati. Il problema è la preoccupazione in merito a questa nuova Zes circa l’approccio che la classe dirigente meridionale dà a questo nuovo sistema, perché se bisogna in questo caso solo lamentarsi e fare la guerra perché si perde potere, si perde di vista quello che è l’obiettivo principale – e l’obiettivo principale è ultimo treno che il Mezzogiorno ha per agganciare la ripresa e riagganciare il Nord Italia. L’ultimo treno ci viene da questo strumento. La nuova Zes si basa su due pilastri: il primo è quello dei vantaggi tributari e fiscali, che hanno sì una loro importanza ad aiutare gli imprenditori; ma un altro aspetto fondamentale è quello della burocratizzazione del Paese. Anche nella nuova Zes è prevista l’autorizzazione unica, io mi auguro che Roma sia capace di gestire la quantità di richieste che arriveranno dai territori. Una necessità, quella della sburocratizzazione, che nel Sud diventa endemica, ma che appartiene a tutto il nostro Paese. Il Presidente Fara qualche decennio fa, credo in un Rapporto Italia, con una metafora bellissima descrisse il nostro Paese come Gulliver, il gigante che era tenuto fermo nonostante la sua forza da una serie di lacci e lacciuoli che i lillipuziani gli avevano messo; questi lacci e lacciuoli sono la burocrazia che impedisce agli imprenditori di avere certezze. Io presento la mia pratica oggi, fra 6 mesi ancora non so se il mio progetto industriale, che nel frattempo può essere diventato vecchio, è attivo e posso iniziare a investire; nel frattempo ho già avuto l’ok dalle banche e non so se fra 6 mesi c’è ancora, quindi questa sorta di limbo in cui gli imprenditori sono costretti ad operare è una cosa inaccettabile per gli imprenditori italiani, ancora di più per gli imprenditori stranieri che vorrebbero investire nel nostro Paese; caos legislativo, burocratico e pressione fiscale, scoraggiano quello che poi è un altro dei capisaldi delle Zes, attrarre gli investimenti dall’estero, cosa che sia nella vecchia Zes sia nella nuova Zes non è prevista. Oggi abbiamo avuto il contributo del nostro amico tunisino che ci ha spiegato quali sono i vantaggi della Zes tunisina. Sono vantaggi soprattutto dal punto di vista fiscale, come diceva Ivo Blandina, che noi non potremmo mai garantire, ma anche dal punto di vista dei costi. Pensate che 1 kW in nella zona di Porta Said costa 0,008 centesimi di euro, impossibile e inimmaginabile, anche con tutti gli aiuti di questo mondo, poter raggiungere questo risultato in Italia. Quindi è necessario, come prima cosa, andare a strutturare una serie di rapporti e di accordi strategici fra la Zes nascente (Zes del Mezzogiorno) e le altre Zes presenti nel Mediterraneo, cercando di intersecare e far diventare complementari le attività presenti sul territorio. Nel 1961 esce il libro di La Capria “Ferito a morte”. In questo romanzo La Capria parlava della mancata giovinezza, del fatto che non avesse potuto godere appieno della giovinezza, rifletteva sull’immobilità della classe partenopea e meridionale in generale, sul non saper approfittare delle occasioni (erano gli anni Sessanta, gli anni del boom economico). In questo caso dice “la grande occasione persa”. Io mi auguro che questa Zes non sia l’ultima occasione che abbia il Mezzogiorno per riagganciare il resto del Paese. Venendo agli aspetti pratici, quello che dicevano prima i nostri relatori, gli atti di questo convegno non saranno un caso spot o pubblicati in maniera sporadica su riviste o social, ma saranno prima di tutto indirizzate ai nostri interlocutori, perché l’obiettivo che ci siamo dati con Salvatore Napolitano, venendo incontro anche a quello che diceva Francesco, è creare un laboratorio sullo stile di quello che Marco Ricceri ha fatto coi BRICS, che possa monitorare e suggerire ai decisori quali possono essere le migliorie perché la Zes è uno strumento, come diceva Berlinguer, abbiamo questo strumento e con esso dobbiamo lavorare. Gli strumenti vanno tarati sul campo, sul lavoro specifico; noi faremo la nostra parte e ci auguriamo di essere ascoltati dai decisori politici. Grazie.

FABIO INSENGA: Grazie, lascio la parola all’ingegnere Napolitano per l’intervento di chiusura.

SALVATORE NAPOLITANO : Non è facile chiudere un incontro così interessante e con relatori eccezionali. Vado oltre i saluti e faccio un ringraziamento a tutti, e vorrei fare una premessa. L’incontro di oggi non è casuale, bensì la continuazione di un partenariato culturale a partire dal 2017. Qui ci sono i protagonisti, gli attori di una serie di convegni che noi abbiamo avuto nella sala conferenze dell’Interporto di Nola a partire dal 2017, come dicevo, sia sui corridoi transeuropei TEN-T sia sull’avvio delle Zes regionali. Allora erano Zes regionali. Noi già allora avevamo ipotizzato un sistema armonico di tra i corridoi e le Zes. Attenzione: nel convegno allora noi non abbiamo detto Zes regionali, ma abbiamo parlato di Zes nell’area euromediterranea, cioè la visione che noi abbiamo avuto come Lions in coordinamento con Eurispes e anche gli altri attori, Mercatorum e Interporto di Nola, era già proiettata oltre il fenomeno Zes visto su scala regionale. Voglio dunque citare le motivazioni di allora. Era il rapporto tra economia ed etica a risvegliare in tanti protagonisti e osservatori nazionali e internazionali l’interessamento a conoscere le nuove forme di competitività emerse sia nella principale area di riferimento, il Mediterraneo, sia nelle principali aree economiche mondiali per regolare al meglio la Zona economica speciale come strumento propulsivo di crescita e progresso a sostegno delle economie regionali. Non indugerò sugli aspetti giuridici economici già trattati egregiamente dai relatori che mi hanno preceduto, mi soffermo invece sull’importanza delle Infrastrutture e sui risvolti geopolitici della istituzione della Zes unica che sono qui stati indicati e tracciati dall’intervento di Marco Rettighieri. Voglio rappresentare alcuni dati: la Zes ha una superficie di 121.000 km qu al netto delle acque territoriali – perché per quanto mi riguarda le acque territoriali sono sotto la giurisdizione italiana noi questo lo trascuriamo, cioè manca l’attenzione al territorio mare nella politica italiana. L’80% dei Confini italiani sono confini di mare quindi noi siamo un paese di mare, nessun altro paese non dico al mondo ma certamente del Mediterraneo ha questo privilegio. Come si rileva la istituzione della Zes unica quindi si inserisce in un quadro molto più ampio di interventi che interessano il bacino del Mediterraneo ed il continente africano come il Ponte sullo stretto di Messina, la infrastrutturazione delle Regioni dello stretto, la realizzazione di un piano di sviluppo infrastrutturale del paese con le reti, con le autostrade del mare, con i porti, con la mobilità digitale. È di questi giorni la presentazione del Piano Mattei per l’Africa e c’è anche nella Zes una sezione speciale riguardante le isole in particolare, la Sardegna e la Sicilia. Qui ci sono dico dei numeri ma molto approssimativi, intorno ai 200 miliardi di euro investiti al netto degli investimenti privati nei prossimi anni, quindi L’Italia si avvia verso un percorso che la porterà ad avere un ruolo geopolitico Indiscutibilmente diverso dall’attuale, non solo nel bacino del Mediterraneo ma anche nel contesto del continente europeo. Nel Mediterraneo si concentrano i nostri interessi vitali. L’Italia è obbligata a cambiare paradigma nella politica Mediterranea recuperando peso e centralità nella regione, da tempo dimenticato. Per centrare questi obiettivi è necessario costruire una società che riscopra la Geopolitica Marittima, recuperando nei giovani quello che io chiamo il sentimento Mediterraneo. Il cambiamento degli interessi geopolitici dell’Italia nel Mediterraneo allargato definiranno nuovi equilibri ed è per questo fondamentale comprendere quali saranno gli effetti sugli attuali attori che oggi presiedono il Mediterraneo. Il Mediterraneo ha 12 stretti, cioè 12 punti di strozzatura. Ciò significa che chiunque può chiuderlo come lo hanno lo hanno fatto, non è una potenza militare nello Yemen, sono dei terroristi che hanno creato un problema geopolitico all’intero commercio e transito delle merci in uscita e in entrata dall’Europa. Quindi mettere in sicurezza le rotte commerciali e difendere i nostri interessi nella regione Mediterraneo e oggi anche nel continente africano col piano Mattei è imprescindibile ed è urgente oggi rafforzare la presenza della Marina Militare Italiana nell’area. Se noi vogliamo avere un peso diverso rispetto al passato nel Mediterraneo, abbiamo bisogno di presidiare le rotte commerciali, i porti, gli aeroporti, e quindi mettere in sicurezza la nostra economia. Il primo paese che ha risolto la crisi energetica a seguito della conflitto Russia-Ucraina è stata l’Italia, perché noi abbiamo avuto la possibilità immediatamente di poter avere fondi disponibili di energia da nostri vicini, perché il continente africano è un continente. Condivido l’opinione di andare oltre, di abolire la questione del Mezzogiorno, oggi la questione mediterranea è fondamentale per la società e per la vita futura del nostro paese e dobbiamo intervenire culturalmente sui giovani; è lì che c’è il futuro della cultura italiana. La crescita del nostro Paese sta nel diventare di nuovo Centrale nel Mediterraneo, sta nei giovani e noi dobbiamo portare i giovani a comprendere il potere del mare, la talassocrazia abbandonata. Concludo con un dato presente nella relazione dell’abstract del presidente Blandina, che ha detto che l’80 degli imprenditori italiani non conosce le agevolazioni e le opportunità che offrono le Zes; questo è già un fallimento, quindi è importante e fondamentale portare, attraverso i sindacati, attraverso le istituzioni, attraverso questi incontri, la conoscenza, perché la conoscenza è forza, è cultura è economia. Vorrei anche aggiungere un dato che oggi è sotto gli occhi di tutti: la rivolta dei trattori. Ebbene, dovremmo dare attenzione all’interno delle Zes e della Zes unica alla filiera agroalimentare, è un’altra opportunità che potremmo cogliere. Perché non farlo? Siamo un unico Paese, se vogliamo essere vincenti dobbiamo unirci, fare squadra, e non dividerci, ci dividiamo poi su altre cose ma sicuramente non sugli aspetti fondamentali delle nuove generazione del Paese nella sua globalità. Attenzione poi alla parte etica e a favorire gli insediamenti di Poli di ricerca, e questo è un appello che io rivolgo alle università, che potrebbero sicuramente essere anche protagonisti all’interno della Zes unica attivando Poli di ricerca in collaborazione con gli enti locali e le associazioni che sono disponibili. Chiudo con un appello che ritengo fondamentale, che riguarda il recupero della Geopolitica nella società italiana e del potere del mare: questo è fondamentale per il nostro futuro. Grazie per l’attenzione e ci rivedremo.

 

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