diMarco Cremonesi
L’avvocato smentisce: «Ci sarà l’interrogatorio, se libero si confronterà con la maggioranza». Il Carroccio: basta sospetti sui fondi privati
La domenica è nervosa. L’Associazione magistrati boccia la riforma della Giustizia, ma è soltanto lo sfondo per un clima politico che si è fatto, come minimo, variabile.
Una buona notizia, certamente per i leghisti, è stata la smentita arrivata ieri sulla possibilità che Giovanni Toti dia le dimissioni prima del nuovo interrogatorio con i magistrati: «Voci infondate e strumentali» per Mario Savi, l’avvocato del governatore della Liguria. L’idea è quella già espressa: dato che le dimissioni sono un atto politico, prima di deciderle è necessario un confronto tra Toti e la sua maggioranza. Ma per farlo, sarebbe ovviamente necessaria la revoca degli arresti domiciliari.
Di certo, il governatore una cosa la sa: Matteo Salvini è del tutto contrario alle sue dimissioni . Lo aveva detto all’indomani dell’arresto («Sarebbe una resa») e lo ha ribadito in diverse occasioni. L’atteggiamento, dicono i vicini a Salvini, è di «assoluta garanzia nei confronti del governatore». Sarà forse vero che la postura leghista nei confronti della vicenda giudiziaria di Giovanni Toti non sia stata improntata al sostegno più caloroso. Del resto, i rapporti tra il partito di Matteo Salvini e l’ex consigliere politico di Silvio Berlusconi sono sempre stati un po’ così, tra luci e ombre. Ma la Lega, sull’argomento è granitica: «Nessuno può dire che abbiamo avuto incertezze. Siamo solidali». Da Forza Italia Antonio Tajani dice che parlare di dimissioni al momento «è prematuro». E anche Fratelli d’Italia sembra avere un atteggiamento attendista.
Ma il fatto che il presidente Toti sia stato arrestato nonostante alcune somme a lui destinate fossero state rendicontate apre però una pagina diversa, in cui i rapporti tra politici e imprenditori devono trovare un assetto più chiaro: la differenza tra finanziamento ai partiti e mazzetta appare forse meno definita di quel che si pensasse.
La Lega, al tema, è interessata. Non soltanto perché il ministero dei Trasporti guidato da Salvini è un colossale ripartitore di fondi pubblici, e nemmeno perché il nuovo codice degli appalti, meno restrittivo di prima, è un cavallo di battaglia del leader leghista. Il capogruppo leghista Riccardo Molinari, a In mezz’ora, la dice così: «Al netto della vicenda in sé» l’inchiesta su Toti «pone un grande interrogativo alla politica: come vogliamo andare avanti sul finanziamento alla macchina della democrazia, dal momento in cui il finanziamento legale diventa foriero di sospetti?». Il fatto è che oggi «un’azienda privata deve stare attenta a finanziare un politico. Ma così si crea un cortocircuito».
Secondo Molinari, «questa vicenda deve porci interrogativi. O si sceglie la strada tedesca con il finanziamento pubblico o seguiamo il sistema che c’è oggi in Italia, per cui ci sono regole per prendere finanziamenti privati. Ma poi questo non può essere foriero di sospetti».
In questo terreno instabile, ieri è tornato a intervenire il ministro della Difesa Guido Crosetto. Dopo un’intervista al La Stampa in cui ha espresso tutti i suoi dubbi sulle recenti azioni giudiziarie, ieri ha rincarato su X rispondendo a chi aveva apprezzato il suo coraggio: «Io non mi sento coraggioso perché mi rifiuto di credere che ci siano gruppi di persone della magistratura che potrebbero raggiungere un livello così basso e, considerandomi un nemico da combattere solo perché esprimo idee e invito a riflettere, provassero a inventare qualcosa per farmi male». Dichiarazioni che sono diventate, per il ministro piemontese, sempre più frequenti.
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