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Siamo malati di povertà. E se non si corre ai ripari anche di prospettive. Una storia purtroppo dolorosa, che comincia da lontano. Nel 1951, ai tempi di una Torino che lavorava duro per diventare la Capitale dell’auto, l’industria forniva da sola il 64,4 per cento del valore aggiunto per la città; il terziario valeva il 28,4, le costruzioni il 4,1, l’agricoltura il 3,1. In 70 anni il quadro è completamente cambiato e la parti si sono invertite: nei 2021 il contributo dell’industria è sceso al 24,6%, mentre è salito al 71,7% quello del terziario, l’agricoltura è quasi scomparsa (0,6%) e l’apporto delle costruzioni si è attestato sul 4,6%. Le vicende di Stellantis, gli investimenti sbagliati sulla 500 elettrica, i contraccolpi sull’indotto che è stato un grande incubatore di tecnologia e di ricerca, sono stati tremendi in questo anno che, appare come il più nero degli ultimi periodi fa presagire che le percentuali saranno ancora peggiori.

Lo scrive un economista di valore Mauro Zangola, figura di spicco ne le centro studell’Unione industriale e profondo conoscitore del nostro territorio. Con un’analisi che descrive Torino e la sua provincia come le più povere del nord d’Italia. E che una graduatoria dell’Istat conferma soprattutto a proposito dei tassi di occupazione nelle province italiane: Torino è al 58° posto. Ma non solo: nel confronto con i grandi comuni la nostra città con il 66,7 per cento del tasso di occupazione figura al settimo posto (66.7%) dopo Bologna, Milano, Firenze, Venezia, Verona e Genova. Percentuali che scendono ancora se si prende in considerazione la Città Metropolita, che, in buona sostanza rappresenta l’intera provincia di Torino. Insomma abbiamo perso l’appeal conquistato non solo negli anni del boom economico e – secondo i dati desunti da banca d’Italia – siamo stati puniti: Torino dal 2001 al 2019 ha perso 18 punti di Pil rispetto ad una città come Bologna, tanto per fare un esempio comprensibile a tutti.

Un quadro oscuro che dimostra, nella freddezza dei numeri, un insieme di errori di politica e di prospettiva. Non è stata difesa la fabbrica, abbiamo assistito inermi alla fuga dall’Italia (e soprattutto da Torino) della Fiat poi diventata Fca e successivamente “ceduta” a Stellantis. E Mirafiori è lì, fredda e immobile, a dimostralo. Non si è cercato (e incentivato) l’ingresso di un altro grande costruttore di automobili e veicoli commerciali e oggi si invocano almeno le produzioni cinesi che potrebbero trasformarci in semplici assemblatori di parti prodotte all’estero. E la strategia tutta di sinistra che avrebbe voluto trasformare le tute blu in addetti del terziario, non è stata certo vincente, anche se oggi le performance del turismo offrono un po’ di fiato all’economia ma non certo sufficiente a compensare i benefici dell’industria. Senza parlare di colpevoli ritardi sulla Tva e sulla seconda linea di metro.

E anche da questa situazione di stallo che discendono altri dati che, riguardando la povertà delle famiglie e fanno venire i brividi, specie perché il sintomo si allarga a tutta la regione Piemonte. Secondo una ricerca del Parlamento Europeo già nel 2022 il 13,7 per cento delle famiglie era a rischio povertà, il 3,2% in situazione di grave deprivazione materiale, il 6,7% in grave difficoltà ad arrivare a fine mese. A cui si aggiunge un 10,2% di nuclei famigliari che vivono in abitazioni sovraffollate, o degradate e che non dispongono dei servizi essenziali (bagno, doccia, acqua corrente). O addirittura della luce elettrica. Un quadro che vede il Piemonte avvolto in una crisi sociale che viaggia parallela a quella industriale che possiamo sintetizzare con il confronto con le altre regioni. In Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna la deprivazione abitativa si attesta tra il 3 e il 4 percento, mentre nel nostro territorio supera il 10 percento. Un divario terribile, specie se confrontata con il passato, anche recente, di una regione che è sempre stata considerata non soltanto operativa (non a caso abbiamo assistito a partire dagli anni ’50 a pesanti immigrazioni dal Meridione d’Italia, ma anche dal Veneto) ma anche capace di innovare e costruire opportunità di vita e non solo di lavoro.



 

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