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VIBO VALENTIA La Dda di Catanzaro, nel maxiprocesso “Rinascita Scott” e prima nelle indagini contro la ‘ndrangheta vibonese hanno tratteggiato il presunto legame tra la galassia criminale e gli uomini appartenenti a quel mondo di mezzo composto da “colletti bianchi”. Professionisti insospettabili in grado di rappresentare – per l’accusa – un anello di congiunzione tra gli ambienti “sani” della società e quelli torbidi governati dai sodalizi criminali. Tra i professionisti condannati al termine del processo di primo grado anche l’avvocato Francesco Stilo. Per lui, il Collegio giudicante ha deciso una pena a 14 anni. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici riprendono una serie di intercettazioni, con ad oggetto la condotta del legale. Capace di avere contezza di «notizie riservate che in vario modo metteva a disposizione dei vari esponenti delle consorterie». Ci si riferisce, ad esempio, «alla conversazione in cui Francesco Stilo comunicava a Saverio Razionale informazioni che afferivano al ruolo di informatore di Pg assunto da un pregiudicato vibonese coinvolto in vicende di narcotraffico interazionale». Ma il nome dell’avvocato «emerge anche in occasione dell’inizio della collaborazione di Andrea Mantella (…) in questo caso rileva la conversazione captata tra Ferrante Gianfranco (da sempre legato ai Mancuso) e Barba Vincenzo (elemento di vertice della cosca Barba-Lo Bianco, storicamente alleata ai Mancuso)».

La manipolazione dei processi

I giudici, mettono nero su bianco, i dettagli della condotta di Francesco Stilo che «con modalità che come ripetuto più volte, travalicano l’espletamento del mandato difensivo, si presta in più di un’occasione a tenere condotte illecite volte a favorire, orientare o comunque condizionare l’esito di procedimenti che vedono coinvolti i suoi assistiti e non solo». A tal proposito, il Collegio fa riferimento ad una intercettazione. E’ Saverio Razionale a riferire: «(…)avevo un processo a Roma è l’ho vinto (…) mi ha difeso Stilo e basta, ma lì l’ho manovrato il processo perché ho trovato il pubblico ministero».

Le dichiarazioni dei pentiti

A riscontro di quanto prospettato l’accusa, i giudici sottolineano le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia. Bartolomeo Arena, nell’udienza 22 luglio 2021, riferisce in ordine alla vicenda dei messaggi dal carcere e alle riunioni riservate nel suo studio legale. «…Mi diceva che lo Stilo era un soggetto che tutti volevano bene, perché si prestava a portare messaggistiche dai carcerati fuori e da fuori i carcerati». Ed ancora, «prima che trovassero le microspie, perché lo Stilo, come ho già detto, ha trovato le microspie presso il suo studio, io so che manteneva dei colloqui riservati tra alcuni soggetti in una stanza del suo ufficio, perché quello era un’appartamento, e da come ci disse Vincenzo Barba, si erano incontrate parecchie persone ed erano stati toccati alcuni argomenti». A rendere dichiarazioni sulla figura di Stilo è anche il pentito Emanuele Mancuso. «Vengo tratto in arresto per la vicenda Calvetta, vengono due agenti, mi dicono: “Tu qua devi stare a posto, tranquillo, sei protetto, tutto il resto, fai la nomina a questo avvocato ”, l’avvocato era Francesco Stilo». Non solo processi e strategia difensiva nei processi, il legale si sarebbe recato a casa Mancuso anche per altri motivi. «L’avvocato Stilo si era recato presso la mia abitazione perché voleva coinvolgere, non solo voleva coinvolgerlo a livello economico, ma si sa che per fare determinate operazioni c’è bisogno anche del consenso delle Consorterie criminali o comunque delle Locali, a seconda del territorio, era venuto a casa di mio padre perché soggetti russi, inglesi, comunque imprenditori stranieri dovevano, a seguito di acquisizione di terreni dovevano fare degli investimenti di somme cospicue di denaro e mio padre ricordo che siccome non era deputato a questo io credo, invitò Stilo a recarsi presso coloro che definisco, definisco, i massoni della famiglia, infatti l’Avvocato Stilo subito dopo ha legato, guarda caso, con Antonio Mancuso (classe ’38) e con Pantaleone Mancuso “Vetrinetta”. Riguardava investimenti che gli stranieri dovevano fare nella zona della tirrenica, cioè nel litorale». La riflessione aggiuntiva di Emanuele Mancuso è netta: «Ci sono avvocati che non si prestavano a nulla, che mantenevano una linea di demarcazione diciamo mentre altri era come se avessero lo studio a casa mia, non so se mi spiego». Infine, anche il pentito Antonio Guastalegname riferisce una circostanza riportata da Nicola Barba e riferita all’avvocato. «Se tu hai bisogno qua abbiamo l’avvocato Stilo, mi disse (…) Stilo ti fa uscire dal carcere, o col certificato medico o con tutto, è potente, sia a Vibo che a Catanzaro (…) questo è un avvocato proprio che ti sistema tutti i processi che vuoi, mi disse dì Stilo».

Le conclusioni dei giudici

Quanto raccolto dall’accusa, dalle testimonianze rese dai collaboratori alle intercettazioni nel quale si fa riferimento al legale, è sufficiente per convincere il Collegio giudicante a ritenere idonea la contestazione di concorso esterno mossa all’imputato. «Le condotte senza dubbio più emblematiche in questo senso sono certamente la trasmissione di messaggi riservati per conto della consorteria, l’intimidazione di testimoni e denuncianti e la circolazione di notizie idonee a vanificare ove non del tutto a, letteralmente, sradicare l’attività intercettiva azionata dagli inquirenti». I giudici annotano, «deve pure rimarcarsi che il contributo offerto dall’imputato alla vita e al funzionamento della criminalità organizzata, si è rivelato cruciale in momenti di particolare fibrillazione per la vita dell’associazione». (f.b.)

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