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Sassari Costi lievitati per consentire la crescita del credito d’imposta attraverso dati fittizi, in alcuni casi gonfiati a tal punto da permettere di assorbire anche la quota del 10 per cento a carico del committente che in quel modo non pagava alcuna cifra per l’esecuzione dei lavori. E ancora dichiarazioni relative a opere mai eseguite. Un uso illegale, per gli inquirenti, del meccanismo dello “sconto in fattura” che avrebbe consentito di accumulare – attraverso società riconducibili agli imputati – più di cinque milioni di euro di crediti di imposta indebiti.

Accuse che la Procura ritiene fondate e supportate da elementi di prova. Per questo la pm Lara Senatore – al termine di una scrupolosa indagine eseguita dalla guardia di finanza del comando provinciale di Sassari – ha chiesto il rinvio a giudizio di 53 imputati per “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” (reato previsto dall’articolo 316 ter del codice penale).

In sostanza, attraverso il bonus facciate al 90 per cento, avrebbero raccolto crediti, tra il 2021 e il 2022, per 5 milioni e 593mila euro, (sequestrati a luglio del 2023 dalle fiamme gialle) senza mai eseguire i lavori o realizzandoli per una cifra sovrastimata rispetto a quella riportata negli attestati.

Imprenditori edili, professionisti, amministratori di condominio, committenti dei lavori di restauro o recupero delle facciate degli edifici interessati dal cosiddetto “Bonus facciate” dovranno presentarsi a ottobre davanti al gup di Sassari Gian Paolo Piana che al termine dell’udienza preliminare dovrà decidere se mandarli o meno a processo.

A sei degli imputati è contestato anche il più grave reato di associazione per delinquere. Si tratta di un costruttore che avrebbe “svolto il ruolo di promotore e organizzatore dell’associazione procacciando e intrattenendo direttamente i rapporti con i committenti e fornendo disposizioni agli stessi e ad altri associati per realizzare le frodi”. E, ancora, un suo dipendente, la responsabile dei lavori commissionati alle società che avrebbe sottoscritto i documenti relativi al loro avanzamento e intrattenuto rapporti con i clienti fornendo loro le direttive da seguire. Poi ci sarebbe stato chi per la Procura aveva il ruolo di “procacciatore” di clienti che operava anche come responsabile della sicurezza. Quindi un amministratore di condominio che, proprio “sfruttando” questo ruolo, avrebbe consentito alle società di concludere contratti di appalto per importi sovrastimati, ricevendo denaro contante da riversare sui conti correnti del condominio “funzionali alla commissione delle frodi”. Infine il titolare di una impresa di costruzioni che si sarebbe prestato come “appaltante per lavori sovrastimati” per poi cedere il credito di imposta alle società dell’imprenditore edile indicato dalla Procura come il promotore dell’associazione a delinquere.

I sei, in concorso con gli altri 47 imputati, avrebbero – nell’ambito delle misure pubbliche di sostegno al settore edilizio, attestato falsamente a diversi Comuni del circondario l’inizio dei lavori edili, creando documenti falsi che avrebbero “certificato” l’avanzamento e l’esecuzione di questi interventi. Contraffacendo in alcuni casi anche le firme di amministratori di condominio. Avrebbero poi indotto proprietari di abitazioni private (questo accadeva soprattutto nei paesi) a effettuare il pagamento di presunti compensi in favore di professionisti “simulando il pagamento del 10 per cento di spettanza del committente ed emettendo fatture per lavori che non erano mai stati eseguiti”.

 

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