Non è il redditometro che limiterà l’evasione fiscale nel nostro paese. Perché gli ostacoli pratici sono insormontabili. Neanche i pagamenti elettronici saranno d’aiuto. È al rapporto tra reddito e patrimonio finanziario e immobiliare che bisogna guardare.
Reddito e consumi
La vicenda del decreto ministeriale per il nuovo redditometro, prima pubblicato in Gazzetta ufficiale e poi, per polemiche interne alla maggioranza di governo, “sospeso” con modalità ancora non chiare, è utile per fare un po’ di chiarezza sugli strumenti di contrasto dell’evasione fiscale. L’idea che i redditi dichiarati vadano confrontati con i consumi è apparentemente semplice e attraente, ma nasconde insidie pratiche sostanzialmente insuperabili. Bisognerebbe invece chiedersi a che punto siamo nell’analisi comparativa dei redditi e dei patrimoni.
È sicuramente capitato a tanti di constatare con i propri occhi alcuni casi di discrepanza clamorosa tra reddito dichiarato e standard di vita. Il classico esempio della famiglia con l’auto di grossa cilindrata e il figlio con un Isee talmente basso da non pagare la retta del nido fa parte dell’immaginario collettivo. Da qui, la convinzione di molti che basterebbe fare questo confronto su base generale per scovare gli evasori. Ma è proprio questa affermazione ad avere un fondamento alquanto precario. La ragione è molto semplice: è sostanzialmente impossibile per un’amministrazione finanziaria ricostruire in modo attendibile i consumi di una persona.
I consumi riconducibili all’individuo sono quelli inclusi nella dichiarazione precompilata e che danno diritto a una detrazione fiscale: le spese sanitarie, le spese per l’istruzione, la sottoscrizione di polizze assicurative, le spese per lo sport, alcune spese per i figli. Rendere deducibili tutte le spese nell’ottica del cosiddetto conflitto di interessi non sarebbe certo una soluzione perché comporterebbe una perdita di gettito certamente superiore al recupero dell’evasione, come ampiamente dimostrato dai dati sugli incentivi fiscali alle ristrutturazioni edilizie .
I pagamenti elettronici
Un altro slogan spesso ripetuto è che ormai i consumi sono tracciabili perché effettuati in misura crescente con strumenti di pagamento elettronico. Ma anche qui occorre far chiarezza. Molti confondono la tracciabilità dal lato del venditore con quella dal lato del consumatore.
Con una delle misure di attuazione del Pnrr, il governo Draghi ha inserito l’obbligo da parte degli intermediari finanziari di trasmettere all’amministrazione finanziaria il volume complessivo giornaliero dei pagamenti ricevuti in forma elettronica dagli operatori economici che hanno diritto al credito d’imposta per le commissioni loro addebitate su questi pagamenti. Non è però possibile individuare i singoli individui che hanno effettuato il pagamento: questo tipo di tracciabilità estesa non esiste in alcun paese del mondo e sarebbe effettivamente discutibile sul piano morale e giuridico (forse l’unico caso in cui sarebbe giustificato usare l’abusatissima espressione di Grande Fratello fiscale). E comunque le amministrazioni finanziarie non avrebbero la capacità operativa di utilizzare e analizzare i miliardi di dati che ne deriverebbero.
Va poi sottolineato che i dati della Relazione sull’evasione fiscale e contributiva dimostrano che il principale problema nel nostro paese è l’evasione dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali, per i quali bisognerebbe ulteriormente distinguere tra consumi per uso personale e spese per la produzione del reddito.
Reddito e patrimonio
Esiste un legame logico anche tra il reddito e il risparmio, e, quindi, la formazione di patrimoni finanziari e immobiliari. Questo legame è molto più facile da accertare. Quasi tutte le forme di accumulazione di patrimonio sono tracciate e riconducibili al singolo individuo. Oltre ai patrimoni investiti in Italia, ormai anche i flussi finanziari diretti verso l’estero sono in buona parte tracciabili grazie al sistema di scambio automatico di informazioni (Crs, Common Reporting Standard) tra amministrazioni finanziarie. Rimangono alcuni “buchi” relativi ai patrimoni immobiliari e a operatori finanziari (e ad alcuni paesi, tra cui gli Usa) che non aderiscono al Crs, ma i dati indicano che sono stati fatti enormi passi avanti.
Ora si tratta di usare le informazioni per mappare il rischio fiscale, ovvero il grado di (im)plausibilità delle dichiarazioni dei redditi e orientare di conseguenza l’azione di contrasto all’evasione nelle sue varie forme, dalla spinta gentile (nudging) alla vera e propria azione di accertamento. Per questa ragione, sbloccando un impasse che andava avanti da tre anni, il governo Draghi aveva varato il decreto ministeriale di fine giugno 2022, con il quale si dava finalmente la possibilità all’Agenzia delle Entrate di utilizzare in modo massiccio (e non più per un numero limitato di casi) i dati dell’Anagrafe dei rapporti finanziari.
Invece di perdersi in inutili polemiche sulla formulazione del redditometro, sarebbe il caso di chiedere al governo che cosa ne è di questa possibilità, a due anni di distanza ormai dall’emanazione del decreto.
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