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Un nuovo intervento sul dibattito ospitato sul nostro giornale sul tema dell’università a Taranto:

Caro Direttore,

sono trascorsi quattro anni da quando intervenni per la prima volta sul suo giornale nel dibattito sull’autonomia universitaria che all’epoca, in pieno lockdown, Lei riportò al centro dell’attenzione. 

Avevamo bisogno di un sogno in un momento di paura. Avevamo bisogno di futuro, in un presente di angoscia e di incertezza. 

Negli ultimi giorni, l’associazione Unire Taranto ha rianimato il confronto, avvalendosi del contributo, fra gli altri, di Sergio Pargoletti e Piero Bitetti.

All’inizio di Aprile, inoltre, è stata resa nota una lettera del Sindaco Melucci indirizzata al Ministro Bernini, in cui si chiede andare in deroga alla legislazione vigente in materia, pur di ottenere per la città una sede universitaria propria. 

È abbastanza recente l’annuncio dell’istituzione di una facoltà autonoma di Medicina, attraverso un finanziamento regionale, pari a 52 milioni di euro sino al 2040. 

Si tratta sicuramente di una svolta per chi da anni auspica l’autonomia universitaria a Taranto, ma che per il volume dell’investimento pubblico impegnato dovrebbe essere osservata con attenzione. 

Soprattutto dopo la controversa esperienza del corso, proprio di Medicina, inaugurato nel 2019 con la presenza dei vertici istituzionali, ecclesiastici e militari, poi conclusosi con l’iscrizione di soli 4 studenti, a fronte di un esborso pubblico di quasi due milioni di euro. 

Quando si ha a che fare con denari pubblici, occorre sempre pensare innanzitutto a chi usufruisce di un servizio, piuttosto che a chi lo deve somministrare.

Bene fece, invece, l’amministrazione comunale due anni fa, a destinare alle agevolazioni per gli studenti della città, 30 milioni di Ilva in a.s. del “Piano di rigenerazione sociale” varato nel 2015 con un decreto del Governo Renzi, contro cui all’epoca si scagliarono parte della politica e delle istituzioni locali. 

Il dibattito sull’autonomia universitaria andrebbe affrontato innanzitutto stabilendo, a monte, quali sono le aspettative che ci si pone. Se da una Università autonoma pensiamo possa derivare la possibilità di ricevere tutti i finanziamenti vagheggiati, l’attivazione di tutti i corsi che ci passano per la testa e il raddoppiamento degli iscritti, credo si stia iniziando con il passo sbagliato. 

Per attivare un nuovo Ateneo si dovrebbe innanzitutto reclutare un nuovo corpo docenti, tale da poter garantire una qualità didattica, almeno pari a quella attuale. Ci sarebbero i fondi per questo? A legislazione vigente, le risorse vengono ripartite anche in base al numero degli iscritti e della qualità della ricerca e così, facendo un calcolo sommario, probabilmente non ne avremo molte di più di quelle che ci sono al momento. Se una Università autonoma dovesse significare, per studenti e famiglie tasse più alte, rispetto alle altre del territorio, sarebbe una sfida già persa in partenza. 

Qui, Direttore, mi consenta di evocare la necessità di un riforma strutturale dell’architrave normativa alla base del sistema universitario italiano. Partendo dal presupposto che gli Atenei ormai sono realtà di mercato, che competono per approvvigionarsi studenti, docenti, fondi di ricerca e per piazzare pubblicazioni e placement, va superata l’infrastruttura giuridica che ne regola il funzionamento, per lasciarli liberi di vivere la competizione internazionale. Si può pensare al modello delle fondazioni di diritto privato a capitale pubblico, naturalmente accompagnato da un potenziamento del diritto allo studio.

La vera sfida a mio avviso, è trasformare Taranto in città universitaria. E paradossalmente, per diventare tale non è necessario possedere un proprio Ateneo. Città universitaria si diventa grazie ai servizi che una città offre. Trasporti pubblici, viabilità, alloggi per gli studenti, mense, servizi lavanderia, convenzioni con centri sportivi (palestre, piscine, campi di calcetto), eventi di intrattenimento,  potenziamento delle Biblioteche comunali, sinergia fra i Comuni del territorio, interazione con le aziende, collaborazioni periodiche con i quotidiani e le Tv locali. Sono solo le prime idee che mi sono passate per la testa quando penso a cosa dovrebbe essere una città Universitaria. Che poi, altro non sono che azioni mirate ad un più generale miglioramento della qualità della vita, politiche per trasformare un’area urbana in una smart city, ribaltando le scelte urbanistiche dei decenni scorsi, che, troppo spesso, non erano state prese pensando le nostre città del Sud, per accogliere, includere, stimolare l’offerta di servizi e opportunità. I dati attuali e le proiezioni per i prossimi anni evidenziano un crollo demografico ai danni dell’intero Meridione, a cui concorre anche inesorabilmente l’emigrazione di giovani, che una volta andati via per scelte di studio, decidono di non far più ritorno a casa. Attraverso scelte intelligenti dobbiamo recuperare il deficit di fiducia nel futuro che ci attanaglia. Perché se un giovane sceglie di andare a svolgere un’attività a parità di condizioni economiche in un’altra zona d’Italia o d’Europa, allora vuol dire che oltre al problema del lavoro, esiste anche il problema di non vedersi realizzare le proprie aspettative in termini di qualità della vita. La sfida è diventare una città in grado di trasmettere la percezione di far parte di una comunità che offre delle opportunità. 

Non si costringe nessuno a studiare in un luogo anziché in un altro, vanno create le condizioni per consentire a tutti di scegliere liberamente dove farlo.

Per la sua strategica posizione geografica, Taranto, può continuare benissimo ad ospitare nuovi corsi delle Università di Lecce e di Bari e al tempo stesso, essere molto più attrattiva di quanto lo sia adesso, non soltanto per gli studenti della Provincia, ma anche per quelli della Basilicata o della Calabria. Sarebbe una vittoria non soltanto per Taranto, ma anche per le province di Lecce, Brindisi, Bari, che magari vedendo allargarsi l’offerta formativa regionale, limiterebbero la fuga di molti studenti verso il Nord. 

Le Università devono lavorare in sinergia, in un’ottica di complementarietà.  E, in questo senso, caro Direttore, aprendo una finestra sulla strettissima attualità, boicottare accordi di ricerca con gli atenei israeliani per motivi ideologici, va nella direzione opposta.

Gli Atenei del Salento dovrebbero, invece, riscoprire e valorizzare la vocazione mediterranea che nessun altro luogo in Italia sarebbe in grado di replicare. La tecnologia può permettere di mettere in relazione un’aula di Taranto con un professore di Tunisi, di Napoli, di Tripoli, di Nizza o di Tel Aviv.

C’è da fare un lavoro enorme sul capitale umano, sul modello educativo, sul significato della cultura e delle proprie radici storiche, in un momento di crisi demografica, di cambiamento delle regole economiche a livello globale, di perdita di influenza geopolitica come quello che l’Europa intera sta attraversando.

Taranto deve essere parte di questo processo. 

Ne potrà essere parte anche senza possedere un proprio Ateneo. In termini di marketing territoriale il disagio sarebbe facilmente colmabile, creando un brand: “Taranto, città universitaria” o “Studia in Terra Ionica” o ancora “Due Mari d’Università” o comunque qualunque altra dicitura possa venire in mente a chi sicuramente è più bravo di me in queste attività. Purché sia un marchio identificativo e riconoscibile, che attesti la complicità e la partecipazione attiva di tutti gli attori economici e sociali della città in questa idea di salto di qualità. 

E, in questa visione, ancora una volta, torna al centro delle priorità il tema dei collegamenti stradali, ferroviari e su gomma. La necessità di infrastrutture moderne, sicure, veloci e capillari non può più rimanere inesaudita. Mi riferisco al completamento della Bradanico-Salentina, alla realizzazione della Regionale 8, alla messa in sicurezza della Statale100, all’elettrificazione delle linee ferroviarie con una piena interoperabilità Rfi-SudEst, il potenziamento della flotta bus. Insomma tutti quegli interventi che cambierebbero completamento il volto di un territorio, in grado di svilupparsi intorno alla complementarità delle proprie località principali. 

Salvatore Baldari



 

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