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Una forte politica industriale verde europea può portare grandi benefici dal punto di vista economico, climatico e di sicurezza internazionale. Richiede però un sostegno finanziario che solo una politica economica e finanziaria integrata può garantire.

La transizione climatica è transizione elettrica

La transizione climatica verso un mondo a basse ed eventualmente zero emissioni di CO2 – unica condizione per assicurare che le temperature mondiali smettano di crescere dopo il record del 2023 – è e sarà primariamente elettrica. Per due fondamentali motivi: la capacità di generare elettricità verde con rinnovabili e altre tecnologie e l’alta efficienza energetica (associata anche a vantaggi economici) che deriva dall’elettrificazione di usi finali dell’energia, come trasporto e riscaldamento.

La decarbonizzazione avanza a passi rapidi e offre vantaggi significativi, specie per chi riesce a beneficiarne rendendola anche un volano economico. La transizione comporta infatti conseguenze economiche e geopolitiche profonde, emerse nella campagna elettorale per le Europee 2024 e che probabilmente saranno centrali anche negli equilibri che usciranno dall’esito del voto. Cerchiamo di capire il perché analizzando uno dei casi più discussi e meno capiti: il trasporto elettrico.

Nel 2023, era elettrica (compresi gli ibridi plug-in) quasi una macchina ogni cinque vendute al mondo ed era esclusivamente a batteria una su otto. Si tratta di un dato importante, quasi impensabile fino a pochi anni fa. La quasi totalità delle vendite si suddivide tra Cina (60 per cento del venduto), Europa (25 per cento) e Usa (10 per cento). Il mercato a due ruote è ancora più dinamico, in particolare in Asia (il principale per questi veicoli, specie se si prendono in considerazione non solo le moto, ma anche i veicoli con velocità massima sotto i 50 km/h).

Il rapido cambiamento – nel 2020 era elettrico solo il 4 per cento del venduto – è dovuto a un eccezionale avanzamento tecnologico, soprattutto nell’elemento chiave delle auto elettriche: le batterie. È stato reso possibile da politiche di supporto a processi di industrializzazione della produzione (sfruttando anche la possibilità di fare leva su dieci anni di domanda di batterie a costi più alti), sostegno della domanda nel settore automobilistico e progresso tecnologico dovuto a economie di scala. La combinazione di questi fattori ha permesso una drastica riduzione di costi e aumenti delle performance. Poiché la Cina ha colto le opportunità in questo settore più di altri paesi (anche grazie alla crescita assoluta della taglia del mercato domestico, che non è solo focalizzato sulla sostituzione di veicoli già nel parco circolante), il successo dell’auto elettrica a basso costo ha alimentato anche preoccupazioni e tensioni.

La Cina domina anche nell’altro pilastro della transizione climatica, le energie rinnovabili (a partire dalla produzione di pannelli solari). Se a ciò aggiungiamo i generosi sussidi alle tecnologie verdi del governo americano e l’impatto di scelte geopolitiche sul costo dell’energia in Europa (con svantaggi per la competitività industriale del continente), è chiaro perché la transizione verde europea, i suoi costi e le opportunità o meno di sviluppo sono diventate uno degli argomenti principali di discussione, specie alla vigilia delle elezioni europee.

Politiche industriali, non protezioniste

La corsa mondiale per la supremazia nelle tecnologie verdi è un’opportunità anche per l’Europa. E i veicoli a zero emissioni disponibili a prezzi competitivi con quelli dei veicoli tradizionali ne sono un esempio. I benefici della transizione rischiano però di non essere sufficienti senza una politica capace di preservare la competitività europea e di garantire la sicurezza del continente. Ad esempio, è importante assicurare la diversificazione e la resilienza della catena di approvvigionamento e dei materiali che sono alla base delle batterie per l’auto elettrica e di altre tecnologie rinnovabili.

Qui entrano in gioco le politiche a sostegno della domanda in Europa. A differenza degli Stati Uniti, spesso i paesi europei sussidiano l’acquisto di auto elettriche senza discriminare per luogo di produzione e altrettanto spesso senza graduare l’accesso agli incentivi in base al reddito. Allo stesso tempo, l’Europa impone il 10 per cento di tariffa doganale sulle auto elettriche importate. Per i consumatori il costo aumenta così del 10 per cento, erodendo i benefici dei sussidi, a vantaggio di un incentivo alla produzione locale, che non è soggetta a tariffe. Oggi si discute anche di una revisione delle tariffe per batterie e veicoli elettrici cinesi, in analogia con quanto visto negli Stati Uniti. per ristabilire l’equilibrio rispetto a pratiche di promozione dell’industria da parte del governo centrale e di diverse province cinesi.

Come garantire la competitività dell’industria europea

Rimane la questione di come assicurare che l’industria automobilistica europea resti competitiva, e in maniera resiliente (lo stesso vale per gli altri settori delle tecnologie verdi).

Un sistema di politiche industriali deve considerare alcuni indispensabili bilanciamenti. Da un lato, è evidente la necessità di evitare che la produzione automobilistica mondiale si sposti interamente verso la Cina, con i rischi di aumentare la già significativa dipendenza da Pechino. Dall’altro, l’Europa non deve per forza spingere la produzione locale quando non è competitiva, col rischio di danneggiare i consumatori europei.

È un risultato che si può ottenere in diversi modi.

Il primo modo è un sostegno alla produzione domestica capace di far leva sulla sostenibilità, sfruttando il vantaggio competitivo dell’Unione in merito a emissioni per unità di valore generato, e in termini di responsabilità sociale, specie se coordinato con politiche a sostegno della domanda. La Francia già differenzia gli incentivi per i veicoli elettrici in base all’intensità emissiva delle batterie, li combina a schemi bonus/malus di tassazione dei veicoli sulla base delle emissioni. Lo fa anche con strumenti che includono un accesso differenziato agli incentivi in base al reddito o al prezzo dei veicoli. Questo permette di integrare i regolamenti comunitari generando condizioni virtuose per lo sviluppo economico e l’equità sociale, oltre a vantaggi ambientali.

La seconda strada include accordi di joint ventures con produttori cinesi in Europa, come ad esempio quello Stellantis/Leapmotor. Ma va condizionato in maniera tale che l’accesso al mercato non risulti in una banalizzazione della capacità industriale europea (l’accordo Stellantis/Leapmotor, che lascia la produzione in Cina) Nel caso francese, gli incentivi all’elettrificazione escludono già, di fatto, veicoli che non soddisfano questa condizione.

La terza strategia può fare leva su condizionalità legate a trasparenza e gestione responsabile di pratiche estrattive e di processo per materie prime e prodotti intermedi per la produzione di batterie. Questo può favorire la diversificazione delle catene di approvvigionamento non solo verso paesi ed economie con costi dell’energia e del lavoro inferiori, ma anche verso paesi che condividono i principi dell’Unione europea, consentendo di creare valore da attività in linea con l’interesse generale.

Il quarto modo di mantenere la competitività europea consiste nello sviluppo di una politica industriale che rimanga aperta al Sud del mondo, permettendo la crescita industriale di una molteplicità di paesi grazie alla loro transizione verde, sostenendo allo stesso tempo la nostra. Questo approccio moltiplicherebbe i benefici per il clima della riduzione di emissioni che il continente europeo da solo non può assicurare, come spesso ricordato dai critici della transizione, creando al contempo alternative all’offerta di capitali e all’influenza cinese. Mantenere l’apertura ai paesi del Sud assicurerebbe anche la resilienza nella filiera delle tecnologie verdi, estendendo le migliori pratiche ambientali e sociali. Le aste internazionali congiunte di fornitura – come quelle già previste nella legge europea sul Critical Material Act– mostrano esempi di soluzioni che possono integrare requisiti minimi in termini di trasparenza per l’approvvigionamento sostenibile, pur rimanendo aperte alla concorrenza.

Portare i benefici di una politica industriale verde europea al resto del mondo può essere la soluzione vincente da un punto di vista economico, climatico e di sicurezza internazionale. Richiede però una forte coesione e una politica economica e finanziaria integrata, nel decidere dove e come assicurare il necessario supporto agli investimenti verdi. Alla nuova Commissione europea che si formerà dopo le elezioni va ricordato che l’alternativa è perdere leadership internazionale o rassegnarsi a rischi climatici fuori controllo.

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Pier Paolo Cazzola

Pier Paolo Cazzola è esperto indipendente presso l’Institute of Transportation Studies dell’Università della California, Davis per la direzione del suo Centro europeo di ricerca sui trasporti e sull’energia. E’ anche Global Research Fellow presso la Columbia University, occupandosi di argomenti che si trovano all’intersezione tra trasporti, energia, tecnologia e azione per il clima.
Ha fatto parte della struttura tecnica di missione per il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile del governo Draghi. In precedenza, è stato Advisor presso l’International Transport Forum e ha coordinato il lavoro di un gruppo di analisti su questioni relative a energia, trasporti e ambiente presso l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA).

Massimo Tavoni

tavoni

Professore ordinario presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttore dell’Istituto europeo per l’economia e l’ambiente (EIEE), una partnership tra Resources for the Future (RFF) e la Fondazione CMCC. Precedentement ha coordinato il programma sul clima della Fondazione Eni Enrico Mattei. È stato fellow presso il Center for Advanced Studied in Behavioural Sciences presso la Stanford University e post-doc presso Princeton University. La sua ricerca riguarda le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici ed è apparsa su importanti riviste scientifiche. È autore dell’IPCC (5 ° e 6 ° rapporto), co-dirige dell’International Energy Workshop ed è stato vicedirettore della rivista “Climatic Change”. Ha vinto un grant dal consiglio europeo per le ricerche (ERC). Ha consigliato diverse istituzioni internazionali sui cambiamenti climatici, tra cui l’OCSE, la Banca asiatica per lo sviluppo, la Banca mondiale.

 

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