Non solo la presunta maxi perdita per lo Stato legata alle truffe sui bonus edilizi, di cui aveva parlato mercoledì mattina dall’Albania. Parlando in serata al Tg La7, Giorgia Meloni ha dato altre informazioni sbagliate o incomplete sui temi caldi dell’andamento dei salari e dei fondi per la sanità pubblica. Oltre a contestare le stime contenute nelle considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta sulla necessità di un ingresso di immigrati regolari molto più ampio rispetto a quello ipotizzato dall’Istat.
La premier strenuamente contraria al salario minimo ha tirato in ballo l’Istat: “Dice che da ottobre 2023 i salari hanno ricominciato a crescere più dell’inflazione, nel 2023 sono cresciuti del 3%. Questo è un cambio di passo. Non si può pensare che in un anno risolviamo la situazione, ma si è invertita la tendenza. Vuol dire che spendere risorse sulle cose più importanti invece di gettarle dalla finestra dà i suoi frutti”. In realtà il rapporto annuale dell’istituto di statistica dice sì che lo scorso ottobre “la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata a superare quella dei prezzi”, ma questo non dipende da aumenti dei salari netti legati al taglio del cuneo fiscale come dà ad intendere Meloni: la spiegazione sta nella “continua decelerazione dell’inflazione” dopo la fiammata legata ai prezzi energetici che ha colpito l’Italia molto più della media dei Paesi Ue. Non solo: poco dopo Istat scrive che “in media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dell’inflazione. Le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9 per cento, in rafforzamento rispetto al 2022 (1,1 per cento). I prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni“. Il mese scorso l’Ocse ha rilevato che in Italia i redditi reali delle famiglie nel quarto trimestre 2023 sono diminuiti dello 0,4% mentre in media, nell’area, sono cresciuti dello 0,5%.
Sulla sanità, oltre a ripetere il refrain sui soldi “tolti a chi stava male” dalle truffe sul Superbonus – anche se solo una minima parte di quelle risorse è andata davvero persa – Meloni ha ancora una volta rivendicato “la cifra record” di 134 miliardi stanziata con l’ultima manovra per il sistema sanitario nazionale. Aggiungendo che è pari al 6,8% del pil, quindi in aumento rispetto al passato. Ma la sua lettura è molto parziale e il secondo dato è sbagliato. È vero che il valore assoluto è “record”, semplicemente perché il Fondo sanitario nazionale aumenta di anno in anno per star dietro alla crescita dei prezzi. Che dal 2021 come è noto sono saliti a un ritmo che non si vedeva da decenni. Se si tiene conto dell’inflazione, il valore reale di quelle risorse è molto inferiore e si scopre che nell’ultimo triennio il sostegno pubblico al ssn non solo non è aumentato, ma è addirittura diminuito del 2,2%. Tornando al 2024, il rapporto tra stanziamento e pil non è del 6,8% come detto da Meloni utilizzando una stima dell’Agenas basata su stime del pil nominale non aggiornate: prendendo l’ultimo dato Istat sul pil si ottiene un valore del 6,3% circa. Il minimo dal 2007.
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