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Iniziamo col dire che proveremo a fare un po’ di chiarezza sui diversi temi toccati nel titolo.

Partiamo dal ricordare che stiamo vivendo un momento storico che vede il mondo agricolo in grande subbuglio ed in grande difficoltà.

“Vogliamo produrre cibo, non debiti” era il grido dei tanti agricoltori irpini accorsi il 1° maggio scorso in città per l’ennesima manifestazione di piazza.

L’intero comparto si trova in una morsa letale, schiacciato da prezzi di vendita alla grande distribuzione sempre più bassi e da costi di produzione sempre più alti.

La situazione è drammatica in tutta Italia e non riguarda quindi solo gli agricoltori dell’Irpinia e del Sannio, aggravata poi ulteriormente dall’ impegno presa dal governo italiano di adottare alcune misure del piano RePower EU che prevede a partire dal 2026 ed entro il 2030, una razionalizzazione ed una eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi.

Oramai i costi fissi, più quelli variabili quali il carburante, l’energia, i fertilizzanti, etc. etc., stanno raggiungendo dei livelli talmente alti che i prezzi di vendita non consentono neanche di raggiungere il fatidico punto di pareggio.

Non è un caso che in Italia solo nel 2022 abbiano chiuso ben 3.623 aziende del settore.

In Campania non siamo messi meglio al punto che, pochi mesi fa, la regione ha ritenuto di dover stanziare ben 70 milioni di euro, da assegnare con bandi pubblici, al fine di alleviare le sofferenze del comparto.

Ma cosa c’entrano l’energia, le rinnovabili, il fotovoltaico e tutte le sue declinazioni (Agri-solare, agri-voltaico, aree idonee e non idonee) con tutto questo?

Beh se il problema è soprattutto nella struttura dei costi allora le cose sono collegate in quanto i costi energetici incidano sul bilancio di un’impresa agricola in maniera esorbitante!

Sappiamo ad esempio che i costi medi dei prodotti energetici del comparto delle coltivazioni pesano in Italia in condizioni ordinarie, non quindi quelle terribili dello shock dei prezzi del 2022, mediamente per il 23%.

Sappiamo poi che nel Sud Italia, così come in Irpinia e nel Sannio, sono ancora pochissime le aziende agricole che riescono ad evitare questi costi, e che devono pagare per accaparrarsi fonti energetiche quali il gasolio, il gas, l’elettricità, tutte necessarie alle attività agricole.

Se riuscissimo quindi ad azzerare questa voce di costo, producendo da soli l’energia che necessita, probabilmente, toglieremmo un 20% dai costi della produzione presenti in bilancio ed il problema della scarsa redditività del settore quantomeno si mitigherebbe.

AGRISOLARE ED AGRIVOLTAICO

Oggi il PNRR, nell’ambito della MISSIONE 2 (M2) detta “Rivoluzione verde e transizione ecologica” alla componente 1 finanzia la misura detta AGRISOLARE ed alla componente 2 finanzia la misura AGRIVOLTAICO.

Sono entrambe due valide misure atte a sostenere il reddito delle imprese agricole, concedendo contributi sia in conto capitale che in conto esercizio, entrambe atte alla realizzazione di impianti fotovoltaici, sistemi di accumulo e lavorazioni connesse.

Le finalità sono molteplici, tra queste, quella di azzerare appunto i costi energetici e di integrare il reddito agricolo con redditi derivanti dalla vendita dell’energia in eccesso a tariffe incentivate.

Ma non dimentichiamo anche la finalità di ridurre le emissioni di CO2 equivalente immesse dalle imprese del settore nell’atmosfera.

Si pensi che l’agricoltura italiana, con i suoi 40 milioni di tonnellate, è responsabile per il 10% circa delle emissioni totali nell’ambiente.

Le due incentivazioni, come anticipavamo, dal nome sembrerebbero apparentemente simili ma nella sostanza sono diversissime, ovvero:

1. L’AGRISOLARE, con pannelli sui tetti delle aziende agricole ed agroalimentari.
2. L’AGRIVOLTAICO, con pannelli collocati a terra sui terreni agricoli.

AGRISOLARE
Vediamo brevemente la prima misura, parliamo di agrisolare quindi quando ci riferiamo ad impianti fotovoltaici installati sui tetti di edifici ad uso produttivo nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale.

Ci riferiamo, quindi, ad impianti che possono alimentare i consumi energetici di fattorie, allevamenti e stabilimenti di trasformazione preesistenti e strumentali alle suddette attività, ivi comprese le serre.

Questo bando è stato operativo sia nel 2022 che nel 2023 ed a breve dovrebbe essere riaperto anche per il 2024.

Lo stesso arriva a finanziare sino all’80% in conto capitale (a fondo perduto) l’istallazione di pannelli fotovoltaici sulle coperture di fabbricati strumentali all’attività dei soggetti beneficiari.

Particolarità dell’incentivazione è quella di privilegiare la realizzazione di impianti fotovoltaico il cui fine è quello di produrre l’energia necessaria all’attività agricola.

Questa energia autoprodotta potrà poi essere utilizzata in tutto il ciclo produttivo, non a caso il bando prevede tra le spese ammissibili anche le colonnine di ricarica per eventuali futuri trattori, aratri, motozappe, il tutto rigorosamente elettrico!

La potenza minima degli impianti finanziabili va dai 6 kWp sino ad un massimo di 1000 kWp.

Quelli che vengono incentivati, saranno impianti quindi istallati su edifici preesistenti ad uso produttivo, quindi non è previsto il consumo di suolo agricolo.

Infine, le spese ammesse potranno riguardare anche interventi su strutture in uso all’impresa agricola destinate alla ricezione ed ospitalità nell’ambito dell’attività agrituristica.

AGRIVOLTAICO

Vediamo brevemente anche la seconda misura, definita agrivoltaico.

Questo è un sistema innovativo di generazione di energia rinnovabile che integra la coltivazione di terreni agricoli con la produzione di elettricità mediante l’impiego di pannelli solari montati su moduli in acciaio (con varie altezze) che poggiano su terreni agricoli.

A differenza del primo tipo di intervento che si effettuava sulla copertura di edifici preesistenti, qui capiamo facilmente che la situazione è molto diversa e sicuramente molto più delicata.

“Sarà consentito l’accesso agli incentivi statali anche agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole…..purché adottino soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra…….comunque, in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale…… L’accesso agli incentivi per gli impianti di cui sopra è inoltre subordinato alla…..continuità delle attività delle aziende agricole interessate.”

La norma, quindi, obbliga che vi sia continuità delle attività agricole sui terreni interessati dall’istallazione e che sia garantita un’interazione più sostenibile fra produzione energetica e produzione agricola.

Vi sono poi linee guida rigorosissime realizzate dal MITE a cui hanno partecipato CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, GSE – Gestore dei servizi energetici S.p.A. ed RSE, dettanti caratteristiche minime e requisiti che un impianto fotovoltaico dovrebbe possedere per essere definito agrivoltaico, e per poter così accedere agli incentivi PNRR.

Molti agronomi invero sono favorevoli alla integrazione sullo stesso suolo dell’azienda agricola e dei produttori di energia, provando a dimostrare che l’efficienza nell’uso del suolo in presenza di impianti sollevati con al di sotto le colture piuttosto che diminuire aumenti, come nel caso delle cipolle, fagioli, cetrioli, zucchine, patate, insalata, spinaci e fave.

Costoro inoltre ci dicono che gli impianti offrono ombreggiatura e riparo da grandine e fenomeni distruttivi sempre più frequenti quali ad esempio le “bombe d’acqua”.

Questo, tra l’altro, è al momento l’unico modo per poter istallare su terreno agricolo dei pannelli fotovoltaici, e di seguito vedremo il perché.

AREE IDONEE E NON IDONEE

Arriviamo ad analizzare le ultime parole “misteriose” contenute nel titolo dell’articolo, ovvero le aree idonee e quelle non idonee alla istallazione dei pannelli fotovoltaici.
“Limitatamente agli impianti fotovoltaici, sono considerate aree idonee i terreni agricoli a non più di 500 metri da zone industriali, artigianali e commerciali, le cave, le miniere, le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti, le aree adiacenti alla rete autostradale entro i 300 metri.”

Questa era la norma in vigore sino a poche settimane fa, ma per capirci qualcosa dobbiamo fare un passo indietro.

La spinta derivante dalla peggiore crisi energetica che l’Italia e l’Europa abbiano mai conosciuto ha visto nascere l’ambiziosissimo piano detto REPowerEU che ha imposto una accelerazione ulteriore al Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima dei paesi europei (PNIEC).

La commissione europea nel 2022 ha chiesto uno sforzo enorme al fine di aumentare velocemente la capacità produttiva da fonti rinnovabili al fine di sottrarsi dal giogo al rialzo del gas russo e per fare questo servono sia altri impianti fotovoltaici ma serve anche il suolo dove poggiarli.

I tetti delle case, delle industrie, le ex cave, le aree logistiche, non bastano, bisogna per forza di cose quindi andare anche sui terreni agricoli e gli esperti invero ci dicono che se solo lo 0,32% di queste superfici fossero coperte da impianti solari, il 50% degli obiettivi del PNIEC sarebbe agevolmente soddisfatto!

Quindi per andare al punto, in base al combinato disposte del “Decreto Semplificazioni bis” del 2021, ed al “Decreto Energia” del 2022, si dava la possibilità di realizzare degli impianti fotovoltaici anche sui terreni agricoli, a condizione che lo stesso rientrasse in una fascia pari a non più di 500 metri da zone industriali, artigianali e commerciali.

Gli impianti potevano così poggiare anche direttamente in terra, senza coltivazioni al di sotto e senza il rispetto di nessuna prescrizione così come visto prima per gli impianti agrivoltaici.

Poi però arriva il decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 a firma del ministro Lollobrigida (decreto agricoltura), che all’art. 5, va nuovamente ad escludere la possibilità ai terreni agricoli di diventare idonei alla istallazione di impianti fotovoltaici, e siamo esattamente tornati al punto di partenza.

Questo spiega perché sui giornali si è così tanto parlato di stop al fotovoltaico sui terreni agricoli gettando in confusione assoluta la maggior parte dei non addetti ai lavori.

Quindi il recente decreto non ha bloccato le best practices dell’agrisolare e dell’agrivoltaico sopra descritte, quanto gli impianti in terra che sarebbero serviti solo a produrre energia senza nessun connubio con le attività legate alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura o all’allevamento di animali.

Se il ministro ha fatto bene o male a frenare la corsa allo sviluppo delle rinnovabili anche su questa parte delicata del suolo italiano è difficile dirlo, certo è che se non scendiamo a compromessi non riusciremo a centrare gli obiettivi di produzione di energia green fissati per il prossimo 2030.

È anche vero però che la base degli agricoltori era in linea con il ministro in quanto nessuno gli aveva spiegato bene che quella in ballo era solo una piccola porzione di terreno da sacrificare e non tutto il terreno agricolo indistintamente.

Probabilmente questa porzione era anche quella più residuale, marginale e con buona probabilità allo stato incolta causa la vicinanza (500mt.) con aree a differente destinazione quali appunto quelle industriali e commerciali.

 

A cura del dott. comm. Ciro Troncone, esperto in tematiche energetiche


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