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Una delle caratteristiche principali della politica di difesa italiana, che la distingue da molti altri Paesi europei, è la forte propensione a inviare contingenti militari all’estero. Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Italia ha autorizzato più di 140 missioni militari fuori dai confini nazionali, 36 delle quali sono ancora attive. In media, negli scorsi vent’anni, i governi italiani hanno autorizzato una consistenza massima annuale di reparti militari all’estero pari a circa 8.000 unità.

Per anni, la maggior parte delle missioni sono state condotte prevalentemente nei Balcani e in Medio Oriente – in particolare in Libano, Iraq, e soprattutto Afghanistan – e principalmente all’interno di una cornice multilaterale – in primo luogo NATO. A partire dal 2011, con la progressiva riduzione dello schieramento in Afghanistan, la presenza militare italiana all’estero ha cominciato a ridursi velocemente. Tuttavia, nel 2015, la pubblicazione di un nuovo Libro Bianco ha rilanciato la politica di interventi militari dell’Italia, incrementando nuovamente la presenza italiana oltre confine, questa volta orientandola più specificatamente verso il Mediterraneo allargato, in particolare verso l’Africa, e favorendo iniziative bilaterali. Inevitabilmente, la guerra in Ucraina ha determinato un ribilanciamento del baricentro dell’impegno militare italiano verso l’Europa orientale. Tuttavia, l’aumento di truppe a Est non è coinciso con una riduzione degli impegni nel Mediterraneo allargato. Al contrario, proprio negli ultimi due anni l’Italia si è resa protagonista di un nuovo attivismo nella regione. 

L’attività della Difesa nel Mediterraneo allargato fino all’inizio della guerra in Ucraina

Se si esclude la breve esperienza somala del 1993, fino al 2011 la politica italiana di interventi all’estero è stata diretto verso due principali aree geografiche. La prima è la regione dei Balcani, dove l’Italia ha partecipato a tutte le missioni militari che si sono avvicendate in relazione alle diverse crisi e nelle diverse aree, in particolare in Albania e in Kosovo. Da allora le Forze armate di Roma sono rimaste sempre presenti nell’area, specialmente in Kosovo, dove l’Italia ha spesso assunto il comando della missione NATO KFOR. La seconda regione è il Medio Oriente, in particolare il Libano, l’Iraq e l’Afghanistan. A partire dal 2006, le forze armate italiane hanno preso parte all’operazione Leonte, in Libano, rafforzando il contingente della missione UNIFIL, a guida ONU. L’operazione è divenuta presto un impegno di grande rilevanza per l’Italia: da quell’anno, i fanti italiani non hanno più abbandonato il Paese dei Cedri; al contrario, negli anni successivi, Roma ha assunto a più riprese il comando dell’operazione UNIFIL, che resta, ad oggi, una delle maggiori attività delle Forze armate italiane all’estero. Per quanto riguarda l’Iraq, i militari italiani fin dal 2003 hanno contribuito al processo di ricostruzione del Paese e hanno preso parte alle iniziative militari dei suoi alleati nella lotta contro l’ISIS. Ancora oggi, l’Italia schiera un numeroso contingente in Iraq. Infine, in Afghanistan l’Italia è stato uno dei contributori maggiori delle operazioni della NATO, arrivando ad autorizzare, tra il 2009 e il 2011, lo schieramento di una media di più di 4.000 unità. La presenza italiana si è conclusa nel 2021, quando le truppe americane hanno lasciato il Paese. 

La politica di interventi militari italiani all’estero, però, ha subito una battuta d’arresto nel 2011. Da quell’anno, infatti, il numero di militari schierati al di fuori dei confini nazionali è decisamente diminuito. Due elementi hanno determinato questa flessione. Da una parte, il fallimento degli interventi militari in Iraq, Afghanistan, e Libia, e il cambio di postura strategica degli Stati Uniti hanno spinto l’Italia a valutare con più cautela la possibilità di condurre operazioni fuori dai confini nazionali; dall’altra, l’impatto della crisi finanziaria ha imposto una riduzione dei costi, quindi degli interventi. Il risultato è stato una riduzione dell’impegno all’estero. Se infatti nel 2011 l’Italia poteva schierare fuori area circa 6.568 unità, nel 2014 queste erano scese a 4.499, una riduzione pari al -31,5%. Gran parte di questo declino era da ascriversi alla riduzione di unità schierate in Asia (da 5.469 unità nel 2011 a 2.625 nel 2015, una riduzione pari al 52%), in particolare in Afghanistan (da 4.250 unità a 732).   

Nel 2015, però, la tendenza della politica di interventi militari all’estero è nuovamente cambiata. In quell’anno, il Ministero della Difesa ha pubblicato un nuovo Libro Bianco. Tale documento, oltre ad avviare un importante ridimensionamento della struttura e della composizione delle Forze armate, tracciava i contorni di quella che sarebbe stata la politica di interventi militari all’estero delle difesa italiana negli anni successivi. Esso sottolineava come:

 “Mentre nel contesto euro-atlantico la partecipazione a consolidati meccanismi di prevenzione, deterrenza e difesa collettiva (Alleanza Atlantica e Unione europea) assicura al Paese un’adeguata condizione di sicurezza, la possibilità di creare analoghe condizioni nella regione euro-mediterranea richiede che la stessa divenga l’ambito di azione prioritario degli interventi nazionali”. 

Il nuovo documento della Difesa chiamava pertanto le Forze armate a farsi carico di un ruolo maggiormente proattivo nella regione “euro-mediterranea”. In aderenza ai dettami stabiliti da questo documento, a partire dal 2015 la politica di interventi militari all’estero ha assunto un nuovo vigore e ha assegnato una crescente importanza alla regione che il Libro Bianco definiva “euro-mediterranea” e che sarebbe stata in seguito allargata al Sahel, assumendo la definizione di “Mediterraneo allargato”. 

Quanto stabilito nel documento ha determinato un deciso incremento dell’attività delle Forze armate all’estero, dopo anni di relativo declino delle operazioni. Tra il 2014 e il 2021, infatti, il numero di unità autorizzate fuori area è nettamente aumentato, passando da 4.499 a ben 9.498, un aumento del 111,1%. Questo aumento ha riguardato, almeno fino al 2021, soprattutto il Mediterraneo allargato. In questo periodo, nel continente africano, il numero massimo di unità schierate è passato da 746 nel 2014 a 2.312 nel 2021 (+209,9%), mentre in quello asiatico sono passate da 3.119 a 4.166 (+33,5%). In Europa, le truppe sono passate da 634 a 3.020 (+376,3%). L’aumento delle truppe in Europa è stato rivolto soprattutto verso il mar Mediterraneo (da 65 unità nel 2014 a 1.590 nel 2021, pari a +2.346%). Lo schieramento delle forze italiane è rimasto sostanzialmente stabile nei Balcani (+131 unità, pari a +23,3%) ed è invece cresciuto sostanzialmente nel fianco Est della NATO in seguito all’annessione russa della Crimea (+729 unità). 

Figura 1 – Numero massimo di unità militari italiane autorizzate all’estero (2011-2023). 

In Africa, le iniziative più importanti sono state rivolte verso la Libia, Gibuti, il Niger, e il Mali. La maggior parte di esse sono state avviate sulla base di accordi bilaterali, in controtendenza rispetto a quanto fatto negli anni precedenti. In Libia, l’iniziativa più importante è consistita nell’avvio della Missione bilaterale di assistenza e supporto, nata con lo scopo di incrementare le capacità delle istituzioni locali mediante supporto sanitario e umanitario, security force assistance e stability policing. A Gibuti l’Italia ha realizzato una base operativa avanzata interforze con lo scopo principale di fornire supporto logistico alle operazioni militari italiane in Africa orientale e nell’Oceano Indiano. In Niger l’Italia ha avviato un’operazione di supporto alle forze armate nigerine con lo scopo di addestrare le forze di sicurezza locali. Per quanto riguarda il Mali, invece, l’Italia ha preso parte, fino a quando Parigi non ha optato per il suo ritiro, alla Task Force Takuba, raggruppamento di forze speciali a guida francese a supporto dell’operazione Barkhane. 

In Asia, l’Italia ha progressivamente ridotto la sua presenza militare in Afghanistan e ha riorientato le sue forze verso l’Iraq, dove ha preso parte alla Coalizione internazionale di contrasto a Daesh, a partire dal 2015, e ha partecipato, anche assumendone il comando, alla NATO Mission Iraq, iniziativa dell’Alleanza a supporto di Baghdad. In Asia, l’Italia ha poi preso parte alla missione europea per la sicurezza marittima nello Stretto di Hormuz (EMASOH), inviando un’unità navale.  

L’incremento di unità nel Mediterraneo è dovuto principalmente all’avvio di due importanti missioni navali. La prima è Mare Sicuro (dal 2021 Mediterraneo Sicuro), dispositivo aeronavale con il compito di svolgere attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel mar Mediterraneo centrale in prossimità delle coste libiche. La seconda è EUNAVFOR MED-Sophia, missione navale il cui mandato principale è quello di adottare misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni ed i mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo Centrale. La missione si è conclusa a marzo del 2020, ma è stata prontamente sostituita dalla EUNAVFORMED-Irini, il cui compito principale consiste nel contribuire all’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU nei confronti della Libia.  

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Figura 2: Operazioni delle Forze armate italiane nel 2021.

La proiezione italiana nel Mediterraneo allargato dopo la guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina ha inevitabilmente avuto un impatto importante sulla politica italiana di interventi militari all’estero. Dal 2021 alla fine del 2023, infatti, l’Italia ha notevolmente aumentato il personale militare autorizzato oltre confine, da 9.498 unità del 2021 a 11.520 del 2023 (+21%), segnando una cifra record per la Difesa italiana. L’aumento di personale schierato ha riguardato soprattutto l’Europa, dove la consistenza massima di unità è passata dai 3.020 del 2021 ai 6.755 del 2023, divenendo di fatto il continente dove si registra la maggiore consistenza di militari italiani. L’aumento di personale ha riguardato soprattutto il fianco orientale, dove Roma ha inviato circa 2.500 unità.  

Nonostante l’Italia abbia deciso di incrementare l’attenzione verso il fianco Est, tuttavia, Roma non ha diminuito il suo impegno nel Mediterraneo allargato. In effetti, pochi mesi durante lo scoppio della guerra, il Ministero della Difesa ha pubblicato un nuovo documento di indirizzo strategico, la “Strategia di Sicurezza e Difesa per il Mediterraneo”, in cui ribadiva fin dalle prime righe che la principale area di interesse strategico per l’Italia era da identificare nel Mediterraneo allargato. Tali propositi non sono rimasti lettera morta. A partire dal 2022, l’Italia non solo non ha ridotto in maniera drastica il suo impegno in questa area, ma ha anzi avviato nuove importanti missioni. 

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Figura 3: Numero massimo di unità italiane autorizzate all’estero, suddiviso per continenti (2004-2023).

In Africa, benché la presenza delle forze italiane sia passata dalle 2.312 del 2021 alle 1.781 del 2023, la Difesa non ha chiuso nessuna operazione nell’area – se si esclude il contributo alla Task Force Takuba, interrotta per scelta francese. Al contrario, Roma ha avviato nuovi importanti interventi. Nel 2022 l’Italia ha inviato un contingente nell’ambito della missione militare di formazione dell’Unione europea in Mozambico allo scopo di formare e sostenere le Forze armate mozambicane. Nel 2023, sempre in Africa l’Italia ha inviato unità in tre nuove importanti operazioni. La prima è la missione European Union Border Assistance in Libia, condotta allo scopo di assistere le autorità libiche nel rafforzamento delle strutture statuali preposte alla sicurezza. La seconda è la European Union Military Partnership Mission in Niger, che ha lo scopo di sostenere le forze armate nigerine nella lotta contro i gruppi terroristici armati e nella protezione della popolazione civile. Infine, la terza, avviata in base ad accordi bilaterali, è la Missione Bilaterale di supporto in Burkina Faso, avviata con lo scopo di sviluppare e rafforzare le capacità di difesa e sicurezza delle forze armate locali. 

In Asia, il personale militare italiano è calato di circa 1.182 unità, dai 4.166 del 2021 ai 2.984 del 2023 (-28,3%). Anche qui, tuttavia, il calo è da ascriversi principalmente alla fine della missione Resolute Support, e non a una esplicita decisione italiana. Al contrario, anche in quest’area, specialmente in Medio Oriente, l’Italia ha avviato nuove iniziative. Nel 2022, infatti, Roma ha inviato un contingente di 560 unità per fornire supporto alle Forze armate qatarine per l’implementazione del sistema di difesa e sicurezza in occasione dei “Mondiali di calcio 2022”. 

Anche in Europa, in realtà, una parte importante dell’aumento di truppe ha riguardato il fianco Sud del continente, in particolare i Balcani. Infatti, ben 1.104 unità delle 3.735 aggiuntive schierate tra il 2021 e il 2023 sono state dirottate verso i Balcani (in particolare + 935 unità in Kosovo, pari al +159%) mentre nel mar Mediterraneo non ci sono stati cambiamenti sostanziali (-118 unità, pari al -7,4%). 

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Figura 4: presenza militare italiana all’estero nel 2023.

Come si nota, quindi, sebbene la guerra abbia indubbiamente aumentato l’attenzione dell’Italia verso il fianco Est, questo aumento è stato reso possibile soprattutto grazie a un incremento dei militari schierati all’estero, e solo in secondo luogo a una riduzione degli impegni nel Mediterraneo. Anzi, a fronte di una moderata riduzione in Africa (-22,9%) e in Asia (-28,3%), l’Italia ha aumentato nettamente la sua presenza nei Balcani (+159%). 

A testimoniare in maniera ancora più evidente la solidità dell’impegno militare italiano verso il fianco Sud sono le missioni autorizzate per il 2024. Per quest’anno, il Consiglio dei ministri ha deliberato l’avvio di due nuove missioni. Tutte riguardano il Mediterraneo allargato. La prima è l’operazione Levante, che prevede la partecipazione di 192 unità italiane per fornire assistenza a favore dei civili in Medio Oriente, incluso lo schieramento di un ospedale da campo. La seconda è lo schieramento di un dispositivo multidominio impegnato in attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nell’area del mar Rosso e Oceano Indiano Nord-Occidentale. Si tratta di un unico dispositivo che riunirà al proprio interno gli impegni in “Aspides” – operazione UE per la salvaguardia della libertà di navigazione nelle Aree del Mar Rosso, Golfo Persico e Mar Arabico Settentrionale –, nella missione UE antipirateria “Atalanta”, nella missione EMASOH nello stretto di Hormuz, nell’iniziativa a guida USA “Combined Maritime Forces” operante in più zone dello scacchiere Mediorientale e, infine, nella presenza/sorveglianza su base nazionale. Il dispositivo italiano è composto da 3 unità navali, 5 mezzi aerei e una consistenza massima di 642 militari. 

Conclusioni

Nonostante l’accresciuta salienza del fianco Est dell’Europa, l’impegno delle Forze armate nel Mediterraneo allargato rimane di centrale importanza per la Difesa italiana. Negli scorsi anni, infatti, l’Italia non solo non ha tagliato i suoi impegni in questa regione, ma ha anzi continuato ad avviare nuove operazioni nell’area, specialmente in Africa e in Medio Oriente. Perlomeno nel medio termine, è verosimile che nessuno di questi impegni si riduca. Infatti, né la necessità di contribuire alle attività di difesa e deterrenza della NATO a Est, né tantomeno l’esigenza di supportare la politica di sicurezza italiana nel Sud sono imperativi che l’Italia può permettersi di trascurare. 

La necessità di soddisfare entrambe queste esigenze ha imposto pertanto allo strumento militare italiano quello che il Capo di Stato Maggiore della Difesa ha definito nel suo Concetto Strategico un “ampliamento dei propri compiti”. A riguardo, una delle sfide cruciali che l’Italia, e in particolare la Difesa, dovrà superare nei prossimi anni sarà quella della sostenibilità di questi compiti. Come riferito proprio dal Capo di Stato Maggiore della Difesa in audizione in Parlamento nel 2024, le risorse su cui le Forze armate possono contare nel sostenere questa inedita espansione degli impegni non sembra sufficiente per mantenere un adeguato livello di addestramento e un giusto ricambio del personale. Perciò, nei prossimi anni, come suggeriva l’ufficiale, uno degli obiettivi centrali che l’Italia dovrà porsi sarà quello di conferire una quantità di risorse sufficienti alla Difesa per consentire di sostenere questa politica senza ledere l’efficacia delle Forze armate. 



 

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