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Buongiorno.

Giornata densa di avvenimenti, dal G7 che si apre oggi in Puglia, ma che già fa registrare un’intesa sugli aiuti a Kiev e una polemica sull’aborto, alla situazione politica francese, con il messaggio di Emmanuel Macron sul voto anticipato, ai dazi sulle auto elettriche cinesi imposti dall’Europa. In Italia si deve invece registrare un’aggressione alla Camera da parte dei leghisti ai danni di un deputato dei 5 Stelle.

Queste e molte altre notizie nella Prima Ora di oggi, giovedì 13 giugno 2024.

Il vertice e gli ospiti

Parte oggi a Savelletri (Fasano) il vertice G7, ospitato nella lussuosa Borgo Egnazia in Puglia, e presieduto da Giorgia Meloni. Un incontro fondamentale che si apre con due guerre in corso, in Ucraina e Medio Oriente, un Vladimir Putin sempre più aggressivo e una Cina minacciosa, anche dal punto di vista commerciale. L’idea della premier è quella di sigillare il successo elettorale con una passarella trionfale con i leader e qualche risultato concreto. Ci sarà anche Ursula von der Leyen, che ha bisogno dei voti di Giorgia Meloni e dei suoi europarlamentari per la riconferma alla Commissione.

Al vertice parteciperanno Joe Biden, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e gli altri membri del G7 ma anche il turco Erdogan, l’indiano Modi, il brasiliano Lula, il leader dell’Arabia Saudita Bin Salman. Domani ci sarà il bilaterale di Meloni con Biden, dopo l’ultimo finito con il bacio sulla fronte. A questo seguirà un incontro del presidente americano con papa Francesco, che parteciperà a una conferenza sull’intelligenza artificiale, ma che certo si occuperà anche di guerra e soprattutto di pace.

Gli illustri ospiti mangeranno bene, con i piatti di Massimo Bottura e di Vincenzo Elia. Per i vini, il governo si è affidato al re degli enologi Riccardo Cotarella, sempre al fianco del ministro Francesco Lollobrigida nella difesa dei vini italiani. Tra le 27 etichette, molte eccellenze, tante etichette storiche, l’immancabile Bruno Vespa (le sue bottiglie sono anche su Trenitalia) e poco o niente di nuovo (come se nella produzione di vino in Italia ci si fosse fermati a qualche decennio fa).

L’accordo per Kiev

Quando oggi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky arriverà nel resort di Borgo Egnazia, scrive Marco Galluzzo, troverà una buona notizia ad attenderlo: «Gli sherpa del G7 hanno trovato un compromesso sui fondi russi congelati in Belgio. Se tutto andrà per il meglio, perché le incognite dell’accordo sono ancora tante, prima della fine dell’anno l’Ucraina riceverà dai sette Stati del vertice uno o più assegni, che facilmente potranno superare i 60 miliardi di euro». Questi, a quanto riferisce Galluzzo, i termini dell’accordo: «Gli interessi, o extra profitti, dei 200 e passa miliardi russi sequestrati, faranno da garanzia e ripagheranno un prestito collettivo, probabilmente spalmato su dieci anni o dodici anni, per il quale Washington è pronta a mettere 50 miliardi, il Canada 5, il Giappone 2 (andranno al Bilancio di Kiev e non in armamenti, la Costituzione di Tokyo lo vieta), mentre Italia, Francia e Germania rimandano al prossimo Consiglio europeo con pieni poteri, con le nuove cariche apicali di Bruxelles, la definizione del contributo europeo. Londra invece parteciperà con un suo strumento finanziario e deve ancora decidere la cifra». Tra i temi trattati, anche la lotta al traffico illegale dei migranti.

Un caso sull’aborto

Il tema dei diritti civili non doveva essere in cima all’agenda, eppure è una delle prime questioni emerse. Arrivano infatti indiscrezioni che parlano dell’eliminazione, nella bozza, di un passaggio volto a rimarcare l’importanza di garantire «un accesso effettivo e sicuro all’aborto», tra i punti inseriti nel vertice di Hiroshima. Tanto da spingere la presidenza del G7 a guida italiana a precisare che «nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza delle conclusioni del vertice G7, così come riportato da alcuni organi di stampa in una fase in cui le dinamiche negoziali sono ancora in corso. Tutto quello che entrerà nel documento conclusivo – si puntualizza – sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7». Vale a dire che la questione c’è ed è ancora aperta. E del resto le posizioni sul tema sono molto distanti. Giorgia Meloni ha deciso di aprire i consultori alle associazioni Pro Vita, mentre la Francia a marzo ha inserito, con un sì bipartisan, il diritto all’aborto in Costituzione.

La tela (e i fiori) della premier

imageBorgo Egnazia dall’alto (Ansa / Giuseppe Lami)

Scrive Monica Guerzoni che tanto ci tiene alla perfetta riuscita del vertice Giorgia Meloni che ha scelto personalmente i fiori e le postazioni per le photo opportunity. Cercando di schivare le polemiche su aborto e von der Leyen, la premier vuole usare il G7 come una vetrina per il suo governo: «Questo vertice — è il ragionamento che la presidente ha condiviso con i collaboratori più stretti — sancisce l’autorevolezza nuova della nostra nazione e il peso politico più forte che indubbiamente abbiamo in Europa». Così scrive Guerzoni: «La premier è concentrata sui dossier preparati con la sherpa del G7 Elisabetta Belloni e con i quali vuole caratterizzare la sua presidenza. La tragedia di Gaza e la pace in Ucraina come “priorità assolute”. Le migrazioni e l’Africa, “tantissima Africa”. L’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di introdurre un marchio per certificare le imprese che si adegueranno agli “standard etici”. Fino alla questione cruciale degli asset russi congelati in Europa».

Le trattative per von der Leyen e l’ipotesi Letta

Tra quattro giorni si saprà. Alla cena di lunedì, i leader Ue scopriranno le carte, scrive Francesca Basso, e si saprà come saranno spartite le cariche di vertice. Secondo i popolari dovrebbe andare così: la presidenza della Commissione e del Parlamento al Ppe (von der Leyen e Metsola riconfermate), del Consiglio europeo ai socialisti e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri ai liberali.

Sul voto c’è l’incognita francese. Macron, che con Renew ha 79 voti, era stato critico. La strategia del capogruppo dei popolari Weber – scrive Basso – è partire dalla piattaforma Ppe, S&D e Renew e di allargare il sostegno per mettere l’elezione di von der Leyen al sicuro dai franchi tiratori dell’Aula. I Verdi ieri hanno fatto un’offerta che andrà valutata: il voto a von der Leyen in cambio dell’ingresso in maggioranza, dichiarandosi disponibili a fare «compromessi» sul Green Deal. Questo farebbe salire a 453 i potenziali voti a favore di von der Leyen (ne servono 361), ma nel Ppe ci sono delegazioni critiche. I 24 voti di Fratelli d’Italia restano importanti, a patto che il suo gruppo, l’Ecr, non apra le porte al partito di Orbán, ipotesi che sta scatenando molti mal di pancia: diverse delegazioni hanno già la valigia in mano. E i popolari chiuderebbero il dialogo.

Starebbe intanto prendendo piede l’opzione Enrico Letta al Consiglio europeo, che garantirebbe l’equilibrio politico e geografico. Secondo alcune fonti la premier Meloni potrebbe assecondare l’idea. Roma negozierebbe una vicepresidenza esecutiva di peso e come «bonus» otterrebbe un italiano, anche se di colore politico diverso, al Consiglio.

Salvini-Le Pen contro Ursula

image

Ieri si sono incontrati – da soli, prima di vedere gli altri leader del loro gruppo di Identità e democrazia – Matteo Salvini e Marine Le Pen. Un rapporto rivendicato come «saldissimo» dal leghista. L’obiettivo è quello di far saltare «il piano Ursula». Come ha spiegato Salvini: «È una vergogna che Ursula e i suoi amici provino a costruire lo stesso inciucio, nonostante il voto molto chiaro dei cittadini europei. Io non voglio credere che tanti nel Partito popolare e tra il conservatori (Ecr, il gruppo di Giorgia Meloni) possano rassegnarsi a votare con i socialisti».

I dazi sulle auto elettriche cinesi

L’Europa ha deciso di imporre dazi fino al 48 per cento sulle importazioni di auto elettriche dalla Cina.

• Perché i dazi? È una ritorsione contro quella che viene considerata concorrenza sleale visto che, secondo Bruxelles, Pechino avrebbero foraggiato i produttori con abbondanti incentivi.

• Come ha reagito il governo cinese? Spiegando che la decisione non ha fondamento e minacciando reazioni gravi. Non solo, ha accusato l’Europa di essere contraddittoria: «La Commissione tiene alta la bandiera dello sviluppo verde con una mano e brandisce il bastone del protezionismo con l’altra, politicizzando e trasformando in armi le questioni economiche e commerciali». 

• Sarà davvero applicata? Non è detto. L’applicazione dei nuovi dazi scatterà dopo il 4 luglio e avrà efficacia immediata ma provvisoria perché la decisione della Commissione Ue dovrà essere confermata dal Consiglio europeo, cioè dai governi degli Stati membri. E non sono pochi i Paesi contrari. Tra loro Germania, Ungheria e altri Paesi dell’Europa centro-orientale, che temono ritorsioni da parte di Pechino. Francia e Spagna sono invece favorevoli. Per ribaltare la decisione della Commissione, serve una maggioranza qualificata con almeno 15 voti.

• E l’Italia? Il suo orientamento non è ancora definito chiaramente. Ma la Lega è da sempre favorevole ai dazi e il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha accolto con soddisfazione il provvedimento come strumento «per tutelare la produzione europea». 

• Quali saranno i marchi più colpiti? Il più colpito sarà il gruppo Saic, proprietario fra l’altro del marchio MG. Le esportazioni dalla Cina di auto a batteria da parte del colosso Geely (Volvo, Polestar e Smart) dovranno pagare una gabella del 31%, mentre Byd andrà incontro a una tariffa del 27,4%. Per tutti gli altri costruttori, inclusi quelli occidentali che producono in Cina attraverso alleanze con produttori locali, il dazio addizionale sarà del 21%, se hanno cooperato con l’indagine della Commissione Ue, e del 38% in caso contrario. Tesla sarà oggetto di una valutazione specifica.

• Perché colpire la Cina? La ragione della «concorrenza sleale» è la motivazione ufficiale. Alla quale si aggiunge la forza della produzione cinese. Il valore delle esportazioni di auto a batteria dalla Cina all’Europa è cresciuto di sette volte nel giro di quattro anni, passando dagli 1,6 miliardi di dollari del 2020 agli 11,5 miliardi del 2023. Sono molti i produttori europei che hanno delocalizzato.

• Basteranno i dazi a fermare l’invasione? Sicuramente ridurranno il flusso. Ma, secondo alcune stime, le tariffe imposte dall’Ue non saranno sufficienti ad annullare il vantaggio di costo nel produrre in Cina. 

• Come reagirà la Cina?Secondo Federico Rampini, «sono attese rappresaglie cinesi sotto forma di dazi e restrizioni, e nel mirino potrebbero esserci prodotti europei come l’Airbus, le auto di lusso tedesche (Porsche ecc.), lo champagne e il cognac».

• Ma perché non si vendono le auto elettriche? L’Europa è accusata da diversi governi e soprattutto dalla destra di avere imposto per decreto il passaggio obbligato all’auto elettrica. Le vendite ristagnano e inducono qualcuno a pensare che si tratti solo di un totem ideologico degli ambientalisti. Ma è davvero così? E resterà la data del 2035 per la conversione o sarà cancellata sull’onda del voto?

• Luca Angelini, sulla Rassegna, ha spiegato come la transizione sia irreversibile e inevitabile, ma ha anche citato l’Economist che si dice contrario ai dazi, fedele al suo credo nella libera concorrenza. Il settimanale britannico scrive: «Come ha sostenuto David Ricardo più di due secoli fa e l’esperienza ha da allora dimostrato, ha senso che i governi aprano i propri confini alle importazioni anche quando altri erigono barriere. I residenti nel Paese in via di liberalizzazione godono di prezzi più bassi e di una maggiore varietà, mentre le aziende si concentrano su ciò che sanno produrre meglio. Al contrario, le tariffe agevolano le imprese inefficienti e danneggiano i consumatori».

Eppure Joe Biden ha messo dazi del 100 per cento sulle auto elettriche cinesi e Donald Trump promette di raddoppiarli. Angelini cita anche il parere contrario di Alessandro Penati, docente di Finanza alla Cattolica di Milano: «I dazi scoraggerebbero una domanda già debole e darebbero all’industria europea un incentivo a procrastinare gli investimenti necessari a raggiungere le economie di scala. Inoltre, si rischierebbe una guerra commerciale con la Cina».

• La conclusione è di Alberto Mingardi, che qualche giorno fa aveva scritto sul Corriere: «Se la priorità è la transizione ecologica, la strategia che ha senso è avere più macchine elettriche possibile, al prezzo più basso possibile. Se la priorità è l’industria europea, i tempi della transizione dovrebbero essere rivisti. Rischiamo di trovarci in una specie di “mercantilismo di sussistenza”, il cui unico esito sarà produrre prezzi più alti per il consumatore».

• Europa vs Cina Quello dei dazi è solo un tassello di un mosaico più ampio. O se vogliamo il segnale che l’Europa ha capito che non può più fidarsi della Cina e ha scelto di allinearsi con gli Stati Uniti. C’entra naturalmente anche la guerra in Ucraina, con gli aiuti di Pechino alla Russia che potrebbero rivelarsi decisivi. Anche le relazioni con la Germania, che esportava un terzo delle sue auto in Cina, si stanno incrinando. E, scrive Rampini, c’è una strategia pericolosa che sta mettendo in campo Pechino. Secondo  Rush Doshi, un analista molto ascoltato dalla Casa Bianca, Xi Jinping vede la Cina nel mezzo di una nuova rivoluzione industriale, con l’opportunità di sorpassare gli Stati Uniti. «Per questo c’è stata un’accelerazione degli investimenti industriali, non dei consumi interni. Qui sta la radice dell’ulteriore aumento di capacità manifatturiera della Cina, che inonda il resto del mondo con le sue esportazioni. Di fatto «esporta deflazione», cioè contribuisce a deprimere la crescita degli altri, tedeschi ed europei in testa. Questa iper-industrializzazione cinese è anche dettata da considerazioni strategico-militari, ha una dimensione autarchica: per essere pronta una guerra su Taiwan, la Repubblica Popolare deve rendersi autonoma in tutte le catene di approvvigionamento».

Caos in Francia in attesa del voto

La Francia è il Paese più interessante per capire l’entità del terremoto che ha investito l’Europa dopo le elezioni. Perché, se è vero che gli equilibri complessivi del Parlamento non sono cambiati troppo, è vero che ci sono Paesi che hanno subito la forza d’urto della crescita dell’estrema destra. E qui sono successe alcune cose importanti negli ultimi giorni. Proviamo a riassumerle.

1 Il grande successo elettorale del partito di Marine Le Pen, il Ressemblement national, che con il suo candidato, il giovane Jordan Bardella, ha ottenuto il 32 per cento dei voti. Più del doppio di quelli della capolista macronista Valérie Hayer, ferma al 14,7%.

2 L’annuncio dello scioglimento del Parlamento Emmanuel Macron, sorprendendo tutti, ha deciso di giocare una carta molto rischiosa: sciogliere il Parlamento e indire le elezioni anticipate per il 30 giugno e il 7 luglio. Un potere che gli compete in quanto presidente e che ha prodotto uno choc in Francia. La sua speranza è che il doppio turno possa in parte ridimensionare il Rassemblement national ma il rischio è una coabitazione di Macron con un nuovo premier dalle idee opposte alle sue, Bardella. Ieri è tornato sulla decisione, dicendo: «Che cosa avreste detto se il giorno dopo, con il 50% dei francesi che votano le estreme, la mia reazione fosse stata non cambiamo niente, continuiamo così. Avreste detto: questo tipo è sconnesso dalla realtà».  Può darsi, ma intanto, come scrive Stefano Montefiori, rischia l’effetto David Cameron, l’ex premier britannico che convocando un referendum provocò involontariamente la Brexit.

imageEric Ciotti (Joel Saget / Afp)

3 Il gollista Ciotti con Le Pen ll leader dei Républicains, la destra gollista, Éric Ciotti, ha annunciato martedì un’alleanza con il Rassemblement national di Marine Le Pen. Mossa clamorosa che rompe decenni di «cordone sanitario» contro la destra estrema, fatta dal leader del partito che fu di De Gaulle e Chirac. E proprio al leader anti nazifascista si riferisce Macron, quando dice: «Ciotti sta tradendo la memoria del generale De Gaulle, ha fatto un patto con il diavolo».

4 L’espulsione di Ciotti Ieri il partito neogollista ha però deciso di espellere Ciotti, che si era mosso in autonomia, accusandolo di aver siglato un «accordo contro natura». Ci sono state scene di caos, quasi comiche. Ciotti ha rifiutato l’espulsione e si è asserragliato nella sede del partito. A causa della chiusura della sede, la riunione dell’ufficio politico dei Republicains si è svolta in una locale a circa 500 metri di distanza. Ciotti avrebbe persino inviato due ufficiali giudiziari per identificare i partecipanti alla riunione. Al termine della quale, la neo responsabile dei Republicains Annie Genevard è andata nella sede del partito sbarrata e l’ha riaperta: aveva trovato un duplicato delle chiavi. 

5 Le manovre di Macron Ieri Macron ha detto che in caso di vittoria del Rassemblement national, non si dimetterà. Ma ha anche attaccato i negoziati a sinistra tra i socialisti, gli “insoumis” di Jean-Luc Mélenchon, gli ecologisti e i comunisti. «La sinistra repubblicana e i suoi leader, che sembravano aver fatto scelte chiare durante la campagna europea, si sono appena alleati con l’estrema sinistra, che durante la stessa campagna si è macchiata di antisemitismo, comunitarismo e antiparlamentarismo. Cosa decideranno sui valori della Repubblica? Cosa decideranno sul nucleare e sull’energia?». Il riferimento è ai socialisti di Raphaël Glucksmann che hanno deciso di allearsi con la sinistra. Macron condanna le «alleanze scellerate delle ali estreme». E lancia un appello a «socialdemocratici, radicali, ecologisti, cristiano-democratici, gollisti e ai compatrioti e leader politici che non si identificano con la febbre estremista», per mettersi insieme e conquistare la maggioranza alle prossime elezioni anticipate del 30 giugno e del 7 luglio.

Il 5 Stelle Donno aggredito alla Camera, pugni e calci dai leghisti

imageL’aggressione alla Camera (Ansa / Massimo Percossi)

Non si è trattato di una rissa, ma di una vera aggressione ai danni del deputato dei 5 Stelle Leonardo Donno. Si discuteva di autonomia differenziata, progetto caro soprattutto alla Lega, con molti deputati dell’opposizione che sventolavano il tricolore, in segno di protesta contro una legge che, sostengono, dividerà l’Italia. A un certo punto il parlamentare ha cercato di consegnare il tricolore che aveva sventolato fino a quel momento a Roberto Calderoli, facendo il gesto di avvolgerglielo intorno, ma senza toccarlo, perché subito respinto da due commessi. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha immediatamente dichiarato l’espulsione per Donno. Ma il deputato e i commessi sono stati accerchiati da un gruppo di parlamentari leghisti e di Fratelli d’Italia (tra i quali Candiani, Cangiano, Amich) che hanno cominciato a premere e strattonare Donno. Da dietro è arrivato di corsa Igor Iezzi, leghista giovane ma di lungo corso (è stato leader dei Giovani Padani) che si è gettato nella piccola folla cercando di colpire Donno per due volte con un pugno, senza riuscirci. Un commesso però è rimasto ferito, il deputato M5S, strattonato e colpito, ha accusato un malore ed è stato portato via in carrozzella.

Qui il video.

Per Giuseppe Conte si tratta di «squadrismo»: «Giù le mani da noi, giù le mani dal nostro tricolore. Non passerete. Vergogna». «Scene che fanno paura – dice Raffaella Paita, di Italia Viva – degne di una rissa da saloon». Nicola Fratoianni, di Avs, racconta: «Iezzi ha colpito  ripetutamente Donno con dei pugni sulla testa, facendolo stramazzare a terra». Andrea Orlando aggiunge: «Donno, già a terra, è stato preso a calci da deputati della Lega e di FdI». Lo stesso Donno ha spiegato poi di aver preso «un pugno fortissimo allo sterno e diversi calci». Decisamente singolare la ricostruzione del leghista Massimo Bitonci: «Ero ai banchi del governo e non ho visto pugni, solo spintoni. Donno abbracciava il ministro, il suo è stato un gesto violento». Per Federico Mollicone, Fdi, «Donno si è buttato per terra e ha fatto una sceneggiata».  Non risultano esponenti del centrodestra che abbiano condannato l’aggressione.

Prima, peraltro, non era andata meglio. Era già stato espulso il deputato leghista Domenico Furgiuele, che aveva mimato il gesto della Decima mas. E alla capogruppo dem Chiara Braga, impegnata nel suo intervento, era stato urlato un perentorio: «Stai zitta». «Segno di uno squadrismo che ritorna» dice il dem Stefano Graziano. Elly Schlein fa un rimando, che si spera esagerato: «A pochi giorni dalla cerimonia per i cento anni dall’omicidio di Matteotti, queste cose in quest’aula non si devono vedere e non si possono vedere. Non pensino di fermare i nostri diritti di opposizione contro le riforme con cui stanno spaccando l’Italia e stravolgendo la costituzione».

Israele, duecento razzi dal Libano

È il numero più alto di razzi lanciati dal Libano verso Israele dal 7 ottobre. I 200 razzi sono stati sparati dagli Hezbollah, come rappresaglia per l’uccisione di uno dei loro comandanti. Attacco pericoloso perché rischia di innescare una ritorsione israeliana, con un allargamento del conflitto. Intanto Anthony Blinken accusa Hamas di aver bloccato la tregua. I militanti islamici vogliono un cessate il fuoco permanente e il ritiro delle forze israeliane, prima di firmare. I morti, intanto, sarebbero 37.202, secondo i calcoli del ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas.

Una nuova Margherita per il centrosinistra?

C’è spazio per un partito di centro, che però sia ancorato al centro sinistra? È quello che ci si sta chiedendo in questi giorni, dopo le Europee. Perché è vero che Stati Uniti d’Europa e Azione non hanno raggiunto il quorum per andare a Bruxelles, ma è anche vero che di voti ne hanno presi e non poco. Forse il fatto di essere in bilico da una parte e dall’altra, li ha frenati. E forse anche al Pd, come dicono Goffredo Bettini e Romano Prodi, sarebbe utile la nascita di una nuova Margherita, che allarghi il campo. Servirebbe un leader. Maria Teresa Meli raccoglie due ipotesi: Francesco Rutelli, che di Margherita se ne intende, e Beppe Sala, sindaco di Milano.

Il ricordo di Berlusconi

Una giornata di commemorazioni per Silvio Berlusconi, a un anno dalla scomparsa. Su Mediaset, a reti unificate. A Villa San Martino. E anche alla Camera. Con inevitabili strascichi polemici. Riccardo Ricciardi, M5S, lo attacca frontalmente: «Non accettiamo la beatificazione di una persona che ha dato dell’eroe a un mafioso come Vittorio Mangano». Per reazione, la maggioranza è uscita dall’Aula.

Medagliere pieno agli Europei d’Atletica

imageLarissa Iapichino (Mattia Ozbot / Getty Images for European Athletics)

L’Italia è prima con 24 medaglie agli Europei di Atletica. Ieri, nella sesta e ultima giornata, ne ha conquistate altre quattro: un oro nella 4×100 maschile; un argento nel salto in lungo con Larissa Iapichino e un altro nella 4×400 maschile; infine, un bronzo nei 1500 metri maschile.

Da ascoltare / «Giorno per giorno»

Nel podcast «Giorno per giorno», Giuseppe Sarcina analizza i temi principali di cui si occuperà il summit di Borgo Egnazia. Daniele Manca spiega le ragioni della decisione europea di imporre dazi sull’importazione di auto elettriche cinesi. Massimo Gaggi racconta  perché il figlio del presidente degli Stati Uniti Hunter Biden rischia fino a 25 anni di carcere e quali conseguenze avrà questa sentenza sulla corsa alla Casa Bianca.

Le altre notizie

Violenza di gruppo, condannati Mattia Lucarelli e Federico Apolloni, giocatori del Livorno.

L’avvocato e il kayak travolto: «Non ho visto, se sono stato io pagherò».

• Il ruolo di Daniel Barillà, genero del boss, che a Reggio Calabria raccoglieva voti sia per Pd sia per Fdi.

• Elon Musk e le molestie sessuali, in un reportage del Wall Street Journal.

È morta Françoise Hardy, cantante francese icona degli anni Sessanta.

Le opinioni

«Non si può far finta di niente», di Antonio Polito.

«Un G7 di pace e di collaborazione», di Fumio Kishida, primo ministro giapponese.

«Tra la Cina e l’Italia l’agenda è piena», di Federico Fubini.

«Parigi e Londra unite nella lotta», di Danilo Taino.

«La Schlein parla ai giovani ma le serve un centro», di Aldo Cazzullo.

Il caffè di Gramellini

L’altro Sinner

«C’è Sinner, il genero di tutte le mamme e di tutti i papà, sicurissimi che riaccompagnerà Cenerentola a casa alle 23 e 59 precise. E poi c’è Tamberi, il Mezzabarba, l’altro principe azzurro. Quello che Cenerentola la riporta sempre, ma chissà quando. Che infila le molle dentro le scarpe. Che urla contro il mondo come un indemoniato, ma l’attimo dopo sta già spiccando un volo d’angelo verso le stelle. A un esame superficiale, e anche un po’ caricaturale, i due fenomeni da esportazione dello sport italiano sembrano l’uno l’opposto dell’altro. L’altoatesino e il marchigiano, il gentile e lo spavaldo, il centrato e l’eccentrico, il compassato che esulta battendo il palmo della mano sulla racchetta e l’esagitato che lo fa battendo i pugni sul petto. Il figlio che è sempre andato d’accordo col padre e quello che col padre ci ha litigato. Il timido che non abbraccerebbe mai la sua amata davanti a testimoni oculari e il disinibito che si avvinghia alla moglie in eurovisione. Un tempo li avrebbero definiti l’anti e l’arci-italiano, ma in realtà Sinner e Tamberi sono molto più simili di quanto si pensi. Li accomuna una serietà di fondo, che anche in un Paese come il nostro, che ama raffigurarsi come un conglomerato di macchiette, è tutt’altro che rara. Quei due la esprimono in modo diverso, eppure sono identici nella dedizione al lavoro duro senza il quale, lo ha appena ricordato Federer, non può fiorire nessun talento».

Grazie per aver letto Prima Ora.

(in sottofondo «The last year», di Jessica Pratt. La trovate nella nostra Playlist, aggiornata ogni settimana con le nuove uscite di musica pop, rock e indie).

(gmercuri@rcs.it; langelini@rcs.it; etebano@rcs.it; atrocino@rcs.it)



 

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