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Come ampiamente previsto dal mercato, il Federal Open Market Committee (Fomc), l’organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, ha deciso di mantenere i tassi d’interesse al 5,25%-5,50%, il livello più alto dal 2001. Ma, allo stesso tempo, ha lasciato aperta la porta a un solo taglio nel 2024, forse a dicembre.

Dal marzo 2022, è l’ottava volta che la Banca centrale statunitense decide di mantenere invariati i tassi d’interesse. I tassi d’interesse erano stati abbassati allo 0-0,25% nel marzo del 2020, per combattere gli effetti negativi della pandemia di coronavirus sull’economia statunitense, e poi progressivamente alzati dal 2022.

Cosa c’è dietro la decisione della Fed

Dietro la mossa della Fed, c’è un tasso di inflazione che resta sopra il target della FED. Sebbene la corsa dei prezzi al consumo sia rallentata, l’obiettivo del 2% resta lontano, tanto che la banca centrale ha rivisto al rialzo la stima sull’inflazione di quest’anno al 2,6% dal precedente 2,4%.

“L’inflazione è rallentata in modo sostanziale ma resta troppo elevata”, ha detto il presidente della Fed Jerome Powell durante la conferenza stampa di ieri.

In maggio i prezzi al consumo sono saliti del 3,3%, meno del 3,4% di aprile e sotto le attese degli analisti. A trainare il dato sono stati il forte calo dei prezzi dei beni essenziali (-1,7%) e il raffreddamento della componente dei servizi, cresciuta meno del previsto (+0,2%). La crescita americana resta solida, con l’immigrazione che continua a essere un fattore nell’aumento della forza lavoro. Il Pil – secondo le stime della Fed – che confermano le precedenti previsioni, dovrebbe segnare quest’anno un progresso del 2,1% con un tasso di disoccupazione al 4%

“Se il mercato del lavoro dovesse indebolirsi, la Fed è pronta a intervenire”, ha aggiunto Powell osservando come l’attesa di un solo taglio “non è un piano” e può essere rivista.

Il presidente della Fed ha quindi ribadito che riportare la stabilità dei prezzi è essenziale per il funzionamento dell’economia e che la banca centrale è impegnata a riportare l’inflazine al 2%.

Le previsioni sui tagli

Cosa attendersi per i prossimi mesi sul fronte dei tassi? Dal ‘dot plot’, il grafico che registra, ogni tre mesi, le previsioni dei banchieri della Federal Reserve, emerge che la banca centrale Usa effettuerà solo un taglio dei tassi d’interesse di 25 punti base nel 2024 rispetto all’attuale 5,25%-5,50%; a marzo, prevedeva invece tre tagli da 25 punti base. Sono poi previsti quattro tagli da 25 punti base il prossimo anno e altri quattro, e non tre, nel 2026.

Secondo gli analisti di Goldman Sachs,

“il riconoscimento da parte della Fed di “modesti progressi” verso il target di inflazione del 2% deriva probabilmente dai segnali disinflazionistici emersi dai dati dell’indice dei pezzi al consumo di maggio, in contrasto con i dati sull’inflazione del primo trimestre, più alti del previsto. Tuttavia, la proiezione mediana del dot plot ha preso una traiettoria da falco, tanto che ora indica un solo taglio dei tassi nel 2024, rispetto ai tre tagli precedentemente previsti a marzo. Sebbene il rallentamento dell’inflazione core CPI possa parzialmente attenuare il sentiment da falco del mercato, spinto dai solidi dati sull’occupazione rilasciati venerdì scorso, il percorso della Fed verso un taglio dei tassi dipende dal continuo allentamento dell’inflazione e da un ulteriore riequilibrio del mercato del lavoro. I recenti dati economici e i segnali dei policymaker evidenziano le intricate sfide nel determinare l’esatta tempistica dei cambi di rotta della politica monetaria, mettendo in luce l’importanza di un approccio flessibile e dinamico agli investimenti”.

Della stessa idea, Eric Winograd, Senior VP e US Economist di AllianceBernstein,

“la Fed taglierà i tassi una volta quest’anno, con dicembre come mese più probabile per il taglio. Ci sono segnali che ci potrebbe essere un inizio anticipato del ciclo di allentamento, in base ai dati dell’inflazione di ieri mattina, ma lo scenario di base è invariato. Alla domanda su quale sia il punto di riferimento a lungo termine della Fed (la stima del livello a lungo termine a cui si assesterà il tasso di interesse), Powell ha risposto che la mediana è salita al 2,75% dal 2,56%. Sebbene il tasso neutrale a lungo termine per il tasso dei Fed funds non sia un elemento significativo per la definizione della politica monetaria a breve termine, penso che sia importante per il mercato avere una stima approssimativa di quale possa essere, perché dobbiamo valutare non solo l’inizio del ciclo di allentamento, ma anche la sua fine: il tasso finale.  Continuo a prevedere che il tasso terminale di questo ciclo sia pari al 3,0-3,5%, ovvero un po’ più alto di quello della Fed. Se l’economia dovesse continuare a espandersi anche ai tassi attuali o quasi, sospetto che la stima di lungo periodo della Fed si sposterà più in alto nel tempo”. 

Cosa mantiene alta l’inflazione negli Stati Uniti?

Quando l’inflazione statunitense ha superato il 7% nel 2022, ha avuto come riflesso un aumento su larga scala dei prezzi di beni e servizi. Ma ora, con un’inflazione tornata sotto il 3%, gli aumenti dei prezzi sono trainati soprattutto dalla persistente carenza di case. Anche i prezzi delle materie prime e i premi delle assicurazioni auto contribuiscono a mantenere l’inflazione al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato dalla Fed. Alcuni osservatori attribuiscono allo stesso presidente della Fed Jerome Powell il merito di aver anticipato i tagli dei tassi di interesse, accendendo l’ottimismo dei mercati finanziari e stimolando l’attività economica.

Quali sono le implicazioni per gli Stati Uniti

Il tasso di riferimento della Fed influisce sui costi dei prestiti: ciò significa che i mutui  per l’acquisto di case o i finanziamenti per l’auto continueranno a essere molto più costosi di quanto non lo fossero prima che la Fed iniziasse ad aumentare i tassi nel 2022. Questa settimana, infatti, i tassi medi sui mutui negli Stati Uniti hanno superato il 7% per la prima volta nel 2024.

Il costo dei finanziamenti ha dunque ostacolato il recente slancio del mercato immobiliare, in quanto i potenziali acquirenti si mettono in disparte fino a quando i costi di finanziamento non diminuiscono.

Inoltre, le offerte rimangono basse perché molti proprietari di case non vogliono rinunciare ai mutui a basso costo che hanno ottenuto quando i tassi di riferimento erano vicini allo zero. Ciò contribuisce a mantenere alti i prezzi di mercato.

Come influisce la politica della Fed sul resto del mondo?

Nonostante la Fed abbia deciso di rimanere in attesa, alcuni dei suoi omologhi mondiali stanno comunque procedendo a tagli dei tassi. La scorsa settimana la Banca del Canada ha dati il via per prima alla riduzione dei costi di finanziamento e la Banca Centrale Europea (BCE) ha seguito l’esempio.

Se queste istituzioni, insieme alla Bank of England (BOE) e alla Reserve Bank of Australia, procedono con i loro cicli di allentamento, rischiano di far scendere le loro valute, aumentando i prezzi delle importazioni e compromettendo i progressi nella riduzione dell’inflazione.

Ma se non si allenta, si rischia di perdere la crescita. La BCE, da parte sua, ha quasi escluso un secondo taglio dei tassi a luglio, e alcuni si chiedono se una tale mossa sarebbe saggia nella successiva riunione di settembre. Il processo di riduzione dei tassi da parte della BOE richiederà probabilmente più tempo, con gli operatori che prevedono la prima riduzione in autunno.

Tassi più alti e più a lungo mantengono il dollaro USA forte rispetto alle altre valute perché la prospettiva di tassi USA persistentemente elevati rende gli investimenti in titoli statunitensi più attraenti in termini di valore relativo, facendo apprezzare il biglietto verde.

Infine, aspetto non irrilevante, ad ogni aumento del dollaro, però, le cose si fanno più difficili per le economie in via di sviluppo, soprattutto per quelle che hanno un debito denominato in dollari che diventa più costoso da ripagare quando la valuta nazionale si indebolisce.

 

 

 

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