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Professore ci spiega in maniera molto semplice cosa sono le criptovalute?

Sono valute virtuali, la più nota delle quali è il bitcoin. Esistono circa tremila criptovalute disponibili per l’acquisto o la vendita, anche se molte non hanno valore transattivo. Tra queste, abbiamo bitcoin, ether, bitcoin cash, monero e litecoin che rientrano tra quelle con una capitalizzazione di mercato molto elevata. La criptovaluta non esiste in forma fisica, si emette e si scambia esclusivamente per via telematica. La moneta virtuale non è regolata da enti governativi, ma è emessa e gestita dall’emittente secondo regole proprie. I membri che ne vogliano usufruire accettano di aderire a tali regole. Quest’ultimo aspetto è molto importante poiché ha consentito a organizzazioni criminali di un certo spessore di poter avere un sistema autonomo di emissione e scambio di moneta virtuale. Le nuove mafie in questo momento sono in grado di applicare la tecnologia digitale al settore finanziario e creare sistemi del tutto autonomi da quelli ufficiali.

Secondo il suo parere le mafie utilizzano la moneta virtuale?

Non c’è dubbio che per le organizzazioni criminali transnazionali le monete virtuali siano molto utili. Le utilizzano con sempre maggior frequenza attuando transazioni online senza i controlli che avrebbero nel mondo reale. I broker poi garantiscono loro l’anonimato. In quest’universo particolarmente complesso è tuttavia semplicissimo trasformare capitali illeciti in soldi veri e di fatto ripuliti. Queste nuove tecnologie, favorite dai progressi della crittografia (sistema comprensibile solo a persone autorizzate a leggerlo) e dalle evoluzioni della rete internet, stanno determinando un cambiamento radicale nella gestione dei beni delle mafie moderne, con particolare riferimento al settore finanziario. 

Perché convengono tanto alle mafie?

L’ascesa delle criptovalute, guidata dalla tecnologia blockchain, ha trasformato il panorama finanziario, offrendo transazioni peer-to-peer decentralizzate. Per le nuove mafie l’importanza delle criptovalute risiede nel loro potenziale di rimodellare il denaro sporco mediante le transazioni online. Poiché la valuta digitale è scarsamente regolamentata, nessuna organizzazione o amministrazione governativa, ne supervisiona la formazione, il movimento e la gestione. Per questi motivi il lavoro delle organizzazioni criminali è notevolmente facilitato. Gli scambi di criptovaluta sono regolamentati in modo diverso in tutto il mondo, in alcuni Stati addirittura non sono affatto regolamentati. Tutto questo per le mafie moderne è manna dal cielo poiché non essendoci regole stringenti, si facilitano le transazioni transfrontaliere, fornendo accesso al credito, dando potere di riciclare il denaro sporco per poi poterlo reinvestire.

Nel rapporto mafie, terrorismo e criptovalute quali sono le pratiche illegali a esse connesse?

La criminalità organizzata transnazionale e le organizzazioni terroristiche globali sicuramente ne fanno un uso sempre più frequente. Nello specifico, sono diventate il ​​principale strumento di riciclaggio e d’investimento. Le nuove mafie con questi moderni strumenti monetari sono in grado di entrare nell’economia legale. Si pagano in bitcoin i traffici di droga, armi e quello di esseri e organi umani. Ciò è possibile grazie alla protezione dell’identità dietro i protocolli di sicurezza dei principali operatori finanziari. Sappiamo bene che a oggi è soltanto possibile trovare e tracciare un’attività blockchain, non è invece possibile identificare gli utenti e, di conseguenza, le forze dell’ordine e la magistratura non sono in grado di sapere da chi proviene il denaro e dove va a finire. I mafiosi, grazie alla possibilità di transazioni anonime online, sono ancora più difficili da individuare perché potrebbero addirittura non operare dai propri Stati nazionali.

A oggi quali sono le mafie che utilizzano le criptovalute?

L’uso di bitcoin per riciclare denaro è in uso soprattutto ai narcos latinoamericani come il cartello Jalisco New Generation (CJNG) e il cartello di Sinaloa dell’ex boss Joaquin “El Chapo” Guzman. Le somme coinvolte nei casi scoperti rappresentano ovviamente una goccia nell’oceano rispetto alla lavanderia dei contanti della criminalità organizzata, stimata in venticinque miliardi di dollari l’anno solo in Messico. I narcos in genere dividono il loro denaro illecito in somme che non superino il limite contante consentito e le depositano in vari conti bancari, una tecnica nota come “smurfing”. In Italia ‘ndrangheta e camorra hanno già utilizzato e utilizzano ancora le criptovalute per le varie transazioni che riguardano i loro affari (droga, armi, esseri umani, opere d’arte). Bankitalia ha dimostrato come i clan della ‘ndrangheta e della camorra utilizzino moneta virtuale anche per rimettere in circolazione i soldi sporchi. Tra i pionieri del cripto-riciclaggio ci sono imprenditori e narcos della ’ndrangheta che operano soprattutto in America Latina.

Come riescono a eludere i controlli degli organismi deputati a impedire questi crimini?

Su blockchain, ad esempio, si eseguono milioni di transazioni. Per analizzarle tutte servirebbe uno sforzo investigativo immane che a oggi purtroppo non esiste. Chi ha grosse somme da riciclare le parcellizza attraverso complici, i quali versano piccole somme in cambio di bitcoin. Se ciò non bastasse, alcuni Stati non garantiscono il “fair use” e il corretto monitoraggio dei mercati finanziari transnazionali online, rendendoli più inclini a ospitare e incoraggiare crimini finanziari come il riciclaggio di denaro tramite criptovalute. Il denaro sporco viene “lavato” attraverso l’acquisto online di criptovalute (in forma anonima) e poi, queste ultime, sono inviate a un “cold wallet” (il tipo di portafoglio più utilizzato online) portafoglio virtuale in cui i codici di decrittazione non sono condivisi online con il fornitore del servizio, rendendolo molto sicuro per l’operatore. Sono quindi convertiti in denaro ripulito, pronto a finanziare attività illegali e/o acquistare beni (come immobili, armi, droga, opere d’arte) sul dark web. 

L’Unione europea si sta muovendo in questo settore per combattere criminalità organizzata e terrorismo internazionale?

Direi che siamo ancora indietro tenuto conto che il primo vero passo rilevante dell’Unione europea, per combattere la criminalità finanziaria è stato fatto nel 2015 con l’emanazione del Regolamento n. 849/2015/UE. Non sono state intraprese azioni efficaci contro l’uso illecito delle criptovalute fino al 2018, quando è entrato in vigore il Regolamento n. 843/2018/UE. Questa è stata la prima volta che le criptovalute sono state esplicitamente menzionate nella legislazione europea, a causa della chiara evidenza di come la criminalità organizzata e il terrorismo internazionale utilizzino questo asset per finanziare le proprie attività illecite. Direi, quindi, che bisogna ancora fare tanto e siamo solo all’inizio di un percorso legislativo attualmente insufficiente. 

In Italia invece che strumenti abbiamo per combattere questi fenomeni criminali?

Se escludiamo l’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia – che monitora costantemente i mercati finanziari e azionari nazionali e internazionali con lo scopo principale di seguire il “percorso” denaro e dei beni e traccia ciò che è comunemente noto come “flusso di cassa” – direi ben pochi. Occorrerebbe rafforzare e formare le forze dell’ordine nazionali per contrastare l’uso illecito di risorse finanziarie (anche criptovalute, poiché questo è il nostro argomento di analisi) e potenzialmente smantellare le attività illegali della criminalità organizzata e delle organizzazioni terroristiche. Sarebbe necessaria una rete sovranazionale per essere più efficaci nella lotta alla criminalità finanziaria transnazionale perseguire a livello internazionale le mafie e il finanziamento del terrorismo. Nel dicembre 2023 è stata avanzata una nuova proposta da parte del Consiglio Europeo per migliorare la normativa precedente e rafforzare i controlli delle autorità finanziarie nazionali sulle criptovalute, sulle attività di finanziamento illecito e su altri crimini finanziari a esse connessi, per ora, tuttavia, resta solo sulla carta.

In conclusione, come valuta il rapporto tra mafie, terrorismo e criptovalute?

L’avvento delle criptovalute ha, di fatto, rivoluzionato la finanza e ha offerto a mafie e terrorismo grandissimi vantaggi. Le criptovalute pongono sfide importanti in termini di sicurezza informatica e sono sfruttate per tante attività illegali. Sono diventate uno strumento per il riciclaggio di denaro e il finanziamento illecito da parte di criminali internazionali a causa del loro intrinseco anonimato. La cooperazione internazionale tra le autorità giudiziarie e le forze di polizia è essenziale. Con l’evoluzione del panorama crittografico, la collaborazione globale è fondamentale per sfruttare i vantaggi mitigando efficacemente i rischi. Trovare un equilibrio tra innovazione e ordinamento garantirà un’integrazione responsabile della criptovaluta nell’ecosistema finanziario globale e ridurrà sicuramente gli usi illegali da parte di organizzazioni mafiose e terroristiche. Il lavoro da fare è ancora tanto.

Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di Strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.

 

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