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Non è facile aggiustare i cocci dopo le elezioni europee. Il voto ha terremotato Francia e Germania e premiato un paese come l’Italia, che sicuramente avrà qualcosa da dire nella scelta della nuova dirigenza europea e, soprattutto, delle politiche del prossimo quinquennio. A complicare il quadro si deve considerare che occorre conciliare gli interessi delle forze politiche di riferimento con quelli degli Stati di provenienza, anche per costruire la maggioranza che darà fiducia al prossimo esecutivo. Ma l’esecutivo, cioè la Commissione, è scelto dai governi e quindi bisognerà fare di tutto per evitare uno scontro tra parlamento e governi nazionali. Non avrà più senso governare a colpi di maggioranza, tanto più che, comunque la si voglia vedere, non si può ignorare la vittoria dell’astensionismo e l’effetto rivoluzionario del voto su equilibri consolidati nel tempo. Tutte le parti in causa dovranno fare un’analisi approfondita dei motivi dello scontento degli elettori europei e del “grido di dolore” che si è levato dalle urne.

Ognuno ha le proprie preferenze politiche, ma ciò che ha preoccupato e preoccupa i nostri concittadini, in questa complicata fase storica, sono le caratteristiche di alcune scelte adottate nel passato, che rischiano di condizionare negativamente il loro benessere futuro. Sono stati in molti a vedere, nel fil rouge che ha legato tra loro molte delle iniziative adottate nella scorsa legislatura, un approccio troppo ideologico ed insufficientemente pragmatico. Per tal via ne sono originate decisioni che sono apparse come imposte dall’alto e non rappresentative della volontà popolare, e soprattutto della parte più debole della società. L’eccessiva regolamentazione e il sovraccarico normativo, un tempo visti come il vero problema dell’Unione, hanno oggi un ruolo marginale rispetto al contenuto delle scelte politiche. Scelte che non hanno convinto chi ha votato e chi si è astenuto. Oggi, tuttavia, l’assetto forse più instabile rispetto al passato delle istituzioni europee e il vento nuovo che soffia a Bruxelles potrebbero aprire un varco per riconsiderare alcuni rilevanti temi. Limitandoci all’agenda economica, si potrebbe pensare, ad esempio, ai mercati finanziari e alla tassazione delle rendite, alla concorrenza e alla tutela dell’ambiente.

L’Unione bancaria non è stata ancora completata e si è tuttora lungi dal definire quali siano l’oggetto e le modalità di funzionamento dell’Unione dei mercati dei capitali. La conseguenza è stata l’aver fatto mancare la disponibilità di un doppio canale di finanziamento, quello del mercato insieme a quello del credito. La scarsità di denaro da destinare agli investimenti ha reso più difficile la crescita dimensionale delle imprese, comprimendone il peso economico e rendendole prede facili e a basso prezzo per molti investitori esteri. Muovendosi prevalentemente nel campo della finanza, si è preferito massimizzare il valore estratto dalle imprese, piuttosto che farne prosperare l’attività. La conseguenza, almeno per il mercato italiano, è che gli investimenti nel capitale di rischio non risultano particolarmente attrattivi per gli operatori interni; la capacità produttiva è quindi destinata ad erodersi. Così come, d’altronde, accade anche per la manifattura dell’intero continente, che trova crescenti difficoltà nel competere con altre realtà, agevolate da costi di produzione incomparabilmente più contenuti. Questo processo autodistruttivo è, tra l’altro, consentito anche dal fatto che, all’interno della comunità europea, è ancora tollerato un sistema che permette una concorrenza aggressiva tra gli Stati nel trattamento fiscale dei redditi da capitale, a danno di paesi con maggiore tasso di risparmio.

Quanto alla regolamentazione della concorrenza, è probabilmente giunto il momento di abbandonare una visione del monopolio come riferito alle vecchie realtà nazionali, soprattutto al fine di consentire il rafforzamento dei “campioni” europei, che devono competere con i giganti degli altri continenti, ad esempio in settori come l’aviazione, i mezzi di trasporto e le telecomunicazioni.

Ma è il tema della tutela dell’ambiente quello che più ha colpito l’opinione pubblica e che va a incidere più direttamente e rapidamente sulle condizioni di vita dei nostri concittadini. In un breve arco di tempo, la rivoluzione elettrica nel settore dell’automotive, il risparmio energetico nelle abitazioni e le misure in tema di sostenibilità ambientale delle produzioni stanno gravando direttamente su produttori e consumatori, in una fase in cui tutti i costi stanno aumentando, e ipotecano pesantemente le risorse pubbliche. Questo tipo di approccio comporta, tra l’altro, l’effetto indesiderato di drenare risorse necessarie allo sviluppo dell’economia, che finiscono invece per rafforzare i monopoli esteri esistenti o a costruirne di nuovi. Si tratta poi di regole che, nel condivisibile intendimento di offrire ai posteri un mondo migliore, prospettano per i contemporanei tasse e sacrifici economicamente significativi e non diluiti nel tempo, tanto da provocare una reazione di rigetto, che potrebbe finire per rendere irrealizzabile l’intendimento originario.

Questi sono solo alcuni esempi del cortocircuito esistente in Europa tra popolo e istituzioni, che ha caratterizzato molte scelte del recente passato e suscitato preoccupazione e malcontento. Compito della nuova legislatura sarà quello di ricucire il distacco tra popolo e istituzioni. Obiettivo realizzabile solo se il nuovo parlamento, attraverso il confronto costruttivo tra le diverse posizioni, sarà in grado di operare una serena rivalutazione delle regolamentazioni del passato e delle loro modalità di attuazione.

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