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Circa 180 miliardi di euro. Tanto ci costerebbe adeguarci alla direttiva Ue Case Green (Energy Performance of Buildings Directive) qualora venisse recepita dall’Italia, stando a un modello elaborato ad hoc da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano. Una cifra comparabile con quanto è stato speso nell’ultimo triennio tra superbonus, ecobonus e bonus casa, ma che per essere efficace dovrebbe essere “spalmata” su un numero davvero molto più ampio di edifici, in particolare quelli nelle peggiori condizioni appartenenti alla classe G, che sono circa 5 milioni (il 40% dell’intero parco immobiliare italiano) e andrebbero adeguati per quasi la metà. Interventi che l’Italia dovrà comunque fare, prima o poi, o non raggiungerà gli obiettivi di decarbonizzazione che si è data.

Secondo Casa Green, che definisce i requisiti e i target da conseguire entro il 2030 per immobili residenziali e non, nuovi e ristrutturati, dovremmo ridurre il consumo di energia primaria per gli edifici a uso abitativo del 16% rispetto al 2020, quindi di 6,32 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, passando da 39,49 Mtep a 33,17) e ben il 55% di questo risparmio (3,46 Mtep) dovrebbe riguardare gli immobili di classe G, che sarebbero da efficientare almeno per il 43%, in metratura o in numero di edifici. Un intervento che costerebbe tra i 93 e i 103 miliardi di euro, stando all’analisi contenuta nell’ultimo Energy Efficiency Report 2024 di E&S – illustrato oggi al Politecnico e discusso con le molte aziende partner della ricerca – a cui ne andrebbero aggiunti circa altri 80 per coprire il restante 45% dell’obiettivo, intervenendo sugli edifici delle altre classi energetiche. Il conto complessivo si attesterebbe così attorno ai 180 miliardi di euro (tra 169 e 187).

“A differenza di quanto fatto nel recente passato bisognerà intervenire in maniera molto più estensiva sul territorio in termini di numero di edifici – commenta Vittorio Chiesa, direttore di E&S – sempre che il comparto dell’edilizia possa gestire un numero enorme di cantieri in così pochi anni e anche che i prodotti e i materiali siano disponibili, e a un prezzo in linea con quanto previsto dalle stime. Parte di queste risorse potrebbe (o dovrebbe) arrivare da un nuovo grande piano di finanziamenti europei, ma non basta, occorre una pianificazione attenta e la messa a punto di strumenti di supporto alla riqualificazione energetica degli edifici che oggi non è parte della nostra agenda politica, nonostante il Pniec abbia rivisto al rialzo i target di riduzione dei consumi annuali di energia finale al 2030 insieme agli obblighi di risparmio annuo”.

Efficienza energetica

Nel 2023, gli investimenti in efficienza energetica in Italia sono stati pari a circa 85-95 miliardi di euro, trainati dal settore residenziale, che con l’effetto del superbonus ha fatto la parte del leone (55-59 miliardi di euro, il triplo dei 20 miliardi scarsi spesi nel 2022), e dal terziario (25-29 miliardi). Decisamente poco rilevanti invece la Pa, i cui investimenti sono supportati principalmente da Prepac, Pnrr e Conto Termico, e il settore industriale, che ha tuttavia registrato un aumento del 20% rispetto al 2022.

Il boom degli investimenti nel settore residenziale ha rappresentato un’indubbia opportunità per il comparto dell’efficienza energetica, spingendo in particolare quegli interventi che prima del superbonus erano invece relegati a un ruolo più marginale, come il cappotto termico e i serramenti, oggi quasi il 50% del totale. Ma cosa succederà ora che tutte le forme di “bonus” sono uscite di scena o sono state drasticamente ridimensionate? “Il quadro è piuttosto complesso e incerto – spiega Federico Frattini, vicedirettore di E&S e responsabile del Report – da un lato, nonostante le recenti elezioni possano eventualmente cambiare le carte in tavola, l’Europa ha alzato l’asticella degli obiettivi, con l’Energy Efficiency Directive (EED) e soprattutto con l’Energy Performance of Buildings Directive; dall’altro lato, l’indice di propensione agli investimenti in efficienza energetica misurato dalla nostra survey è decisamente in calo e sono molte le preoccupazioni degli operatori riguardo al futuro del mercato”.

Non a caso, se guardiamo al futuro dell’efficienza energetica attraverso l’indice Odyssee-Mure (calcolato sulla media di 3 sotto-indicatori – livello attuale, trend e policies – misurati da 0 a 1) l’Italia si colloca al 22° posto tra i 27 Paesi appartenenti alla Ue.

Industria

E&S ha condotto un sondaggio sullo stato dell’efficienza energetica nelle imprese italiane, raccogliendo tra aprile e maggio 2024 le risposte di 454 aziende di differenti settori industriali: circa il 45% degli interpellati non ha effettuato per nulla investimenti nel corso del 2023, mentre il 55% che lo ha fatto ha acquistato soprattutto (43%) tecnologie hardware, con un esiguo 9% che ha investito anche in software.

Alla base degli investimenti c’è, e ci sarà anche nei prossimi anni, la volontà di ridurre i consumi, seguita dalla sensibilità del management verso i benefici economici e ambientali, che rappresenterà, specialmente per le tecnologie hardware, un fattore di scelta sempre più centrale. Al contrario, la principale barriera all’adozione è il tempo di ritorno dell’investimento, considerato troppo lungo dalle aziende: questo, insieme all’incertezza normativa, conferma la necessità di incentivi stabili. Ma il vero campanello d’allarme riguarda le volontà di investimento per i prossimi 5 anni, da cui emerge chiaramente un rallentamento, addirittura un dimezzamento o più, negli investimenti complessivi in efficienza energetica: un’analisi comparata tra i risultati della survey e i dati contenuti nel precedente Energy Efficiency Report 2023 evidenzia infatti un significativo calo d’interesse nel puntare su tecnologie come il fotovoltaico e i sistemi di aria compressa, e di intervenire sui processi produttivi.

Le ESCo in Italia

Un’altra survey è poi stata condotta tra le imprese dei servizi di efficienza energetica, coinvolgendo 84 aziende fra ESCo (energy service company) indipendenti ed ESCo appartenenti a grandi Utility, per un fatturato complessivo di circa 930 milioni di cui il 60% (557 milioni) nel comparto civile.

Il fotovoltaico si conferma una delle tecnologie di punta dell’offerta delle ESCo nel comparto del civile, proposta da oltre il 75% dei rispondenti, in particolare nel settore Pa (97%) e Residenziale (86%). La tipologia di contratto più diffusa è quello “chiavi in mano”, indipendentemente dal settore di riferimento, e va rilevato come la modalità EPC con rischio finanziario del cliente sia estremamente poco diffusa. Pare quindi evidente, nonostante da tempo nel settore sia in atto una concentrazione degli operatori, che la logica di servizio energetico e il collegamento dei risultati di risparmio agli interventi effettuati non sia ancora giunta a maturazione.

 

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