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PESCARA. «È una terra vergine, meno bruciata della Calabria». I mafiosi della provincia di Vibo Valentia parlavano così dell’Abruzzo, senza sapere di essere intercettati, mentre facevano affari nel Pescarese e nel Chietino. Ora a certificarlo è anche l’ultima inchiesta dei pm di Catanzaro, condotta dai carabinieri e conclusa all’alba di ieri con 14 arresti: la ’ndrangheta, con il clan Maiolo di Acquaro, si è infiltrata nel tessuto economico abruzzese. E lo ha fatto non solo – come già avvenuto in passato – vendendo fiumi di cocaina, ma aprendo anche una serie di società di prodotti enogastronomici, come prosecco, uva, stoccafisso e baccalà.
I NOMI
Tra le persone finite in manette ci sono Rodolphe Pinto, 62 anni, di San Salvo, rinchiuso in carcere, e Nicola Antonio Papaleo, 65 anni, originario di Rosarno (Reggio Calabria), ora ai domiciliari a Francavilla al Mare, nella sua casa di via della Rinascita: entrambi accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, già arrestati nel 2022 dai carabinieri di Chieti e conosciuti per le loro pericolose contiguità, erano i punti di riferimento del clan in Abruzzo. Ma tra i 12 indagati a piede libero figurano anche due insospettabili: il commercialista Luciano Barone, 50 anni, originario di Atri, con casa a Montesilvano e studio in pieno centro a Pescara, e il perito contabile Luca Marano, 44 anni, nativo di Ortona e residente nel capoluogo adriatico. I professionisti in questione sono accusati di aver agevolato la ’ndrina, consentendo al capo Angelo Maiolo di liberarsi di una serie di restrizioni dovute alla misura di prevenzione e, così, di continuare a realizzare il «programma criminoso».
I RIFERIMENTI ABRUZZESI
L’inchiesta dei carabinieri del Ros e di Vibo – sfociata nel blitz al quale hanno partecipato anche i comandi provinciali di Chieti e Pescara – ha consentito di scoprire pure mandanti ed esecutori di un triplice omicidio avvenuto in Calabria, a Gerocarne, nell’ottobre 2003. Anni di intercettazioni e pedinamenti hanno svelato l’esistenza di una ’ndrina che, se da un lato conserva una struttura agguerrita e predatoria sul territorio di origine, dall’altro è capace di proiezioni in altre zone, in primis Svizzera, Piemonte e Abruzzo. Qui, dalla sua casa sansalvese di via dello Stadio, Pinto «si è messo a disposizione del sodalizio per soddisfare ogni tipo di richiesta, procurando e offrendo in vendita alla ’ndrina armi, giubbotti antiproiettili e persino distintivi delle forze dell’ordine», ricostruiscono i pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Giuseppe Buzzelli, coordinati dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla.
TRAFFICO DI DROGA
Pinto si è anche adoperato per il recupero dei crediti vantati dal gruppo criminale e ha procacciato clienti «per i prodotti rientranti nei settori merceologici da questo controllati, condividendo la propria rete relazionale e consentendo così alla criminalità organizzata vibonese di infiltrarsi nel tessuto economico abruzzese». In cambio, il sessantaduenne ha ottenuto «protezione e accreditamento all’interno dell’associazione di stampo mafioso, funzionale al consolidamento dei rapporti con i vertici del clan Maiolo, in particolare con riguardo al traffico di armi e all’approvvigionamento di sostanza stupefacente da destinare alla vendita in Abruzzo e in tutta Italia».
GLI AFFARI
«È emerso come Angelo Maiolo», scrive il giudice Arianna Roccia, «nella gestione delle attività imprenditoriali via via intraprese, si sia costantemente rivolto a Papaleo, ottenendo la sua collaborazione per espandersi in Abruzzo (considerata “terra vergine”, “meno bruciata” della Calabria)». Il contributo del calabrese trapiantato a Francavilla al Mare è dimostrato dalla fittizia intestazione dell’impresa “Papaleo cars”, con sede in corso Umberto I a Montesilvano, di fatto in mano ai Maiolo per il commercio del prosecco. In altre parole: Papaleo si è messo a disposizione del sodalizio «al fine di consentirne l’inserimento nel mercato a prezzi competitivi in vari settori imprenditoriali, tra cui quello della vendita di buste biodegradabili a Pescara». Un contributo rilevante all’attività economica dei Maiolo è fornito sempre «da Papaleo e dai suoi familiari, in particolare dal fratello e dal cugino, i quali, oltre ad aver effettuato ordini di uva da mosto per conto proprio, si sono prodigati nella ricerca di ulteriori clienti al fine di agevolarne la vendita». È la nuova frontiera di una ’ndrangheta arcaica in Calabria e sempre più imprenditoriale fuori.
©RIPRODUZIONE RISERVATA



 

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