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Abbiamo un Paese che investe poco nello studio e un sistema produttivo che non riesce a valorizzare nemmeno il capitale umano esistente. Il mismatching italiano rischia di essere un gatto che si morde la coda e non si vede come raddrizzare la situazione. Aumentare il numero di laureati fra la popolazione lavorativa ci permetterebbe di avere un aumento della produttività se anche il sistema paese aumentasse gli investimenti di ammodernamento di reti e strutture. Certo siamo ancora molto indietro rispetto ai Paesi più immediatamente in competizione con noi.

Il problema di una nuova formazione fra chi arriva al mercato del lavoro non riguarda però solo il livello alto dei corsi universitari. Il ritardo del nostro sistema professionale, soprattutto per quanto riguarda il modello duale, ossia con almeno il 30% svolto in ambiente produttivo, ha pesato nella difficoltà per molte imprese nel trovatore operai specializzati.

Sono per questo importanti i dati diffusi praticamente negli stessi giorni da Almalaurea sull’inserimento lavorativo dei laureati e da Inapp sul sistema di Istruzione e formazione professionale.

Dall’indagine sul lavoro degli universitari emerge chiara l’indicazione che investire qualche anno in più nella formazione conviene. Chi frequenta i corsi universitari ha un tasso di occupazione decisamente più alto della media della popolazione. Al di là della considerazione generale indica una quota importante di occupazione femminile qualificata. Il tasso di occupazione è cresciuto negli ultimi 5 anni di oltre 6 punti percentuali.

Il lavoro post corsi universitari è stabile. Per il 34,9% dei laureati triennali entro l’anno vi è un contratto a tempo indeterminato. È il 12,4% in più di 5 anni prima. Per chi arriva con laurea magistrale abbiamo il 26,5% (pesano qui i percorsi accademici e dei professionisti con contratti non valutabili) con tempi indeterminati a un anno. È solo l’avvio perché a 5 anni dalla laurea sono il 72,7% ad avere un contratto stabile ed è ben il 14% in più del 2018.

È in costante calo il ricorso a contratti atipici e di somministrazione fin dai primi accessi al mercato del lavoro.

Appare evidente dai dati che l’effetto del calo demografico si fa già sentire e le imprese stanno rispondendo con politiche tese a trattenere il più possibile lavoratori con competenze scarse. Saranno 5 milioni in meno i giovani sotto i 34 anni che arriveranno sul mercato del lavoro nei prossimi 5 anni e il 32% di questi avrà una formazione di livello terziario.

Due dati dell’indagine devono farci riflettere sul sistema Paese. I salari dei laureati in Italia sono cresciuti, ma sempre molto meno di quanto avvenuto nei Paesi europei confrontabili con noi. Andare a fare esperienze di lavoro all’estero è importante e da incentivare. Emigrare per ragioni economiche è però un passo indietro e ci indica la necessità di impostare una politica di investimenti per fare crescere la produttività di tutto il sistema Paese.

A questa annotazione va aggiunto che l’università è troppo poco aperta per essere la via per una mobilità sociale diffusa. Il 45% dei laureati viene da famiglie con laurea e il 52% non lavora durante la frequenza universitaria. Abbiamo avuto Governi che hanno distribuito bonus a pioggia, ma una buona politica di assegni di studio per facilitare l’accesso alle università non è stata nemmeno impostata.

L’indagine Inapp riguarda il sistema italiano dell’istruzione e formazione professionale. È un mondo che vede in primo piano le iniziative regionali e coinvolge complessivamente 228mila giovani. Rappresentano l’8% dei 14-18enni che studiano. È questo sistema formativo che porta il peso maggiore per correggere il mismatching professionale che viene fortemente denunciato dalle imprese. Soprattutto il nostro sistema professionale denuncia una forte carenza nel rapporto con il sistema territoriale delle imprese e solo in parte del Paese si era sviluppato fino a essere un canale parallelo a quello scolastico tradizionale con la possibilità di arrivare alla frequenza universitaria.

L’indagine ci dice che gli investimenti previsti dal Pnrr stanno portando a risultati positivi. L’obiettivo degli investimenti fatti è fare crescere il sistema duale. In questi percorsi si alterna la formazione d’aula con almeno il 30% di formazione in ambiente di lavoro. È il sistema che ha permesso in Germania e Austria, e con qualche differenza anche in Francia, di avere un canale formativo attraverso l’apprendistato che forma ogni anno centinaia di migliaia di figure tecniche specializzate.

L’iniziativa avviata nell’anno scolastico 2021/22 ha coinvolto 500mila ragazzi. Nell’anno scolastico successivo il dato è raddoppiato e siamo a 108mila iscritti a percorsi duali. Il percorso formativo, dobbiamo ricordarlo, è dato da un triennio iniziale che assicura l’obbligo scolastico con un primo livello di qualifica professionale. Poi può proseguire con un Ifts che porta a un diploma specialistico e infine con il passaggio di un esame di stato si arriva a poter frequentare corsi universitari o Its.

È importante però la sperimentazione avviata quest’anno per corsi quadriennali che portano direttamente al diploma tecnico specialistico e aprono ai percorsi formativi di livello terziario. Il sostegno a questa riforma e il suo successo possono portare allo sviluppo del nuovo sistema italiano della formazione professionale.

Il sistema non riesce ancora a correggere il mismatching di competenze esistente. I corsi per inserimenti nel settore logistico, della meccanica, dell’edilizia e per la termoidraulica meriterebbero un numero di inscritti molto superiore all’attuale.

La formazione professionale svolge peraltro un ruolo importante nel recupero a percorsi formativi per ragazzi che altrimenti resterebbero esclusi. Ben il 46% degli iscritti arriva dopo un fallimento in un altro percorso scolastico.

Per assicurare un reale supporto al settore duale e alla sperimentazione avviata c’è bisogno che tutte le Regioni si impegnino con convinzione. A oggi il 50% dei corsi duali si svolge in Lombardia. Se deve diventare un modello nazionale c’è bisogno che, con un’alleanza fra istituzioni, imprese e fondi interprofessionali, il modello formazione duale con un quadriennio e due anni di alta specializzazione si diffonda velocemente in tutte le aree del Paese.

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