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Il presidente Francesco Mutti durante l’assemblea di Centromarca a Milano – Fotogramma

L’unione fa la forza quando si tratta di competere in Europa e nel mondo. Il tessuto produttivo italiano è fatto di imprese di piccole dimensioni. Una caratteristica che da un lato le ha rese resistenti agli choc economici, dall’altro però ha ridotto le loro possibilità di crescita. Dal presidente di Centromarca Francesco Mutti è arrivato ieri un appello alla politica «a favorire fusioni e acquisizioni perché la taglia delle nostre imprese ci penalizza nel mercato globale». L’assemblea dell’associazione – alla quale aderiscono 200 aziende manifatturiere alimentari e non che commercializzano 2400 marchi – è stata l’occasione per un dibattito a più voci su “Geopolitica, società, innovazione – Scenari e priorità per l’Industria di marca” che ha analizzato le sfide dell’immediato futuro dal rallentamento dei consumi agli investimenti in tecnologie intelligenti alla lotta alla contraffazione. Per colmare il gap dimensionale, storico ma oggi non più sostenibile, c’è bisogno di una politica industriale su misura. «Dobbiamo avere delle aziende dimensionalmente più grandi, che siano in grado di internazionalizzarsi e di portare l’eccellenza del made in Italy nel mondo. Per fare questo chiediamo delle politiche a sostegno che premino le aggregazioni di imprese» ha detto. Fondamentale il tema della legalità. “Quelle aziende che non rispettano la legalità fanno una competizione scorretta, sleale, sia dal punto di vista etico sia dal punto di vista economico. Abbiamo bisogno di regole che vengano rispettate e che facciano diventare sempre di più l’Italia un luogo di assoluta eccellenza, da tutti i punti di vista» ha detto ancora il presidente sottolineando la necessità di una riduzione della burocrazia. Le aziende di marca hanno attraversato un momento difficile a causa dell’inflazione, si sono fatte carico di gran parte dell’aumento dei costi che nel biennio 2021-2023 è stato mediamente intorno al 55% ed è stato ri-assorbito dalle aziende che hanno scaricato a valle, cioé sui consumatori, solo una minima parte.

Dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, collegato in videoconferenza, sono arrivate rassicurazioni su tutti i fronti. «Governo e imprese giocano la stessa partita – ha detto – quella delle grandi potenze industriali che competono sulla capacità di innovazione, sulla qualità del capitale umano, sulle condizioni infrastrutturali e finanziarie». Il ministro ha sottolineato come in questi anni un contributo determinante alla crescita, in termini di produttività, occupazione ed esportazioni, sia arrivato dalle imprese medie, quelle tra i 50 e i 250 dipendenti. «Se fossimo capaci di “trascinare“ insieme un numero più alto di imprese italiane in questa fascia, ne guadagnerebbe il Pil e non solo» ha aggiunto. Di certo le imprese italiane si sono dimostrate resilienti: hanno affrontato tre choc esogeni come la crisi finanziaria, la pandemia e poi un conflitto bellico in Europa, e sono riuscite a conservare l’ottavo posto mondiale tra i Paesi manifatturieri con una quota che nell’arco degli ultimi 5 anni, si è ridotta meno che in Germania e Francia.

Adesso però serve un passo in avanti per competere con la Cina, gli Usa e i Paesi emergenti. «Abbiamo bisogno di grandi investimenti perché l’innovazione è l’elemento chiave per aumentare la produttività. E senza produttività non si è competitivi, non crescono i salari e quindi non cresce il reddito di tutti» ha sottolineato Corrado Passera, ex ministro dello Sviluppo economico, fondatore e ad di Illimity. Giorgetti ha assicurato che il governo è pronto a continuare sulla strada dei piani 4.0 che hanno portato ad un rinnovo di macchinari ad investimenti in competenze. «Serve proseguire su questa con un passo ulteriore, valorizzando la mole di dati che le imprese possono oggi immagazzinare per lo sviluppo di modelli di IA che migliorino le performance aziendali».

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