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La politica economica del governo Meloni si porta dietro un peccato, una responsabilità decisamente non sua ma difficilissima da alleggerire. Sicuramente nelle parole di Sant’Agostino ritroviamo la consapevolezza che i peccati debbano essere suddivisi e condivisi, ma come nelle parole del Santo, la contaminazione dell’altrui colpa è ben difficile da cogliere e applicare. Sembrerebbe l’apertura di articolo dettato dalla necessità di alzare l’asticella del dibattito politico economico verso illuminati orizzonti europeisti, e invece tratteremo ancora del Superbonus , un’idea che era nata sotto auspici e aspettative diverse ma che si è rivelata un boomerang per le casse dello Stato.

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Giovanbattista Fazzolari che quasi intimamente cerca di recuperare risorse economiche e approntare una politica di visione e di naturale necessità per l’Italia, lo definisce un disastro assoluto e solo l’intervento di un attenta analisi economica governativa ha potuto arginare scenari inquietanti per le casse italiane . L’intervento per l’efficienza energetica ormai da anni viene ripetuto come un mantra dalla Commissione Europea, rea però di non uniformare le direttive e di lasciare spazio molte volte all’inventiva populista rendendosi incredibilmente deficitaria di innovative regole di settore. A dire il vero sin da subito l’agevolazione è apparsa spropositata, con una soglia di attenzione alle misure di verifica molto vacua; un grimaldello che ha generato centinaia di frodi a scapito della maggior parte dei cittadini che non hanno potuto avvalersi del bonus. Una vera e propria valanga sui conti pubblici. Bankitalia, nell’ultima rilevazione parla addirittura di 45 miliardi di perdita e di un aumento spropositato del debito pubblico Italiano.

In un’epoca di globalizzazione economica e di gestione assennata delle risorse, forse la decisione di mettere un termine ad una misura come questa è stata fisiologicamente la parte finale di una tessitura nata male e che solo il coraggio del governo sta rendendo meno sfilacciata. Palazzo Koch secondo i suoi studi ammette che il peso del Superbonus si posiziona cinque volte oltre le stime. La battaglia di principio che ha condotto il vicepremier Tajani circa la retroattività di norme a salvaguardia del debito gioca sulla significativa decisione di non intaccare diritti acquisiti per i cittadini ma naviga sulle perigliose acque delle storture della norma primordiale.

La gestione delle questioni ancora aperte inerenti i debiti contratti dal superbonus è senza dubbio un vulnus che dovrà essere sanato perché tecnicamente molti di quei soldi sono stati sottratti alla sanità e alle altre misure di welfare, con una bolla inflazionistica impazzita inerente materiali , movimenti logistici, e problemi strutturali della forza lavoro.

Chi governa oggi, si trova di fronte ad un’esperienza diversa da quella di chi per ragioni di confine e di “boa sorte” ministeriale ha dovuto prorogare il superbonus.

Il credito che il governo precedente aveva dato alla misura era impossibile da confutare per la situazione congiunturale e politica del paese, inserito (ricordiamolo sempre) in un contesto di politica europea vecchia e disallineata e quindi per forza di cose si è cercato di procrastinarla. Governare però è anche stabilire il confine, il momento di fermarsi perché le stime e il valore della misura sono andate in Tilt. Il sottosegretario Fazzolari ha da subito tracciato una linea precisa, prendendosi responsabilità e il peso di cui parlavamo all’inizio.

Condividere certe decisioni è fondamentale perché non vengano più negate le risorse agli ultimi, ai disagiati, ai malati che non riescono ad entrare nel ginepraio delle cure del sistema sanitario nazionale. L’esperienza del superbonus insegna che le idee seppur nate sotto l’auspicio di un generale tentativo di ricostruzione ambientale, risparmio energetico e riduzione delle risorse fossili, devono essere gestite non populisticamente ma suffragate da studi di settore e di impatto sociale. Il modello di economia del governo ha iniziato a generare stabilità, puntando sui lavoratori e imprese ma il peso di un debito ereditato lascia pochi margini di manovra. La misura ha impattato solo sul 4 per cento del patrimonio immobiliare lasciando buchi in settori nevralgici del sistema Italia. I risultati delle elezioni europee dovranno disegnare nuovi margini di manovra. I nuovi membri del parlamento dovranno armonizzare miriade di norme, regolamenti, direttive che per certi versi in questi anni, hanno lasciato sola L’Italia. La politica del Premier Meloni ha un’occasione unica: cambiare certe regole, sedimentare risorse per la sanità senza sprechi o indecisioni. Il potere del consenso popolare è il giusto sentiero su cui agire, proponendo anche misure d’impatto che una nuova destra, europeista e matura può imporre; Il tempo di governare l’Europa è arrivato; imporre una classe dirigente di elevate professionalità, senza farsi condizionare da vecchi schemi burocratico-amministrativi, veri e propri cancri istituzionali.

Giorgia Meloni ha dalla sua parte un calcio di punizione con una barriera ancora ricca di pregiudizi, e dovrà mirare alto, al “sette” della porta europea per non incappare nel coccodrillo della vecchia burocrazia. L’idea della nomina di Fitto a vicepresidente della Commissione potrebbe scompaginare le carte nella impalpabile volontà dei boiardi europei e la Premier dovrà lottare molto perché presidiare i fondi del Pnrr a Bruxelles sarà la partita chiave dei prossimi giorni, una finale decisiva, dove la politica del consenso si scontra con quella delle decisioni già prese; un’idea di Europa che ha portato al fallimento di questi anni. Chi vince da le carte, con rispetto autorevolezza, scambio di visione, non legata alle logiche di sottogoverni finto atlantisti. L’Unione Europea con le sue ruggini, i suoi fardelli antidiluviani di regole obsolete, risvegliate per i danni causati dal Covid, quasi convinta che solo un disastro può giustificare una politica economica attiva e reattiva, dovrà tenere conto del consenso popolare, nemico giurato di chi detta le condizioni . La premier ha un’occasione unica: far saltare il banco, imponendo una” governance” che aiuti il popolo senza subire nessun tipo di condizionamento.

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