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L’agricoltura piace alle mafie. Il settore, che beneficia di finanziamenti pubblici a pioggia, mobilita gli eserciti della criminalità organizzata, che riesce sia a intercettare risorse sia a riciclare denaro. Pratiche sleali e illegali che, tra corruzione e gestione allegra dei fondi, frenano lo sviluppo e spesso si estendono anche oltre i confini nazionali. «In Europa, le segnalazioni indicano la presenza diffusa dei clan italiani (oltre alle associazioni criminali autoctone) in quasi tutti i Paesi membri. È stata infatti accertata in Polonia, Germania, Regno Unito, Belgio, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Romania, Ungheria, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca. Una realtà che movimenta 139 miliardi di fatturato annuo, pari all’1,1% del PIL dell’intera comunità europea», dice l’ex magistrato Francesco Greco, già Procuratore della Repubblica di Milano e attualmente responsabile del Progetto Europa dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare di Coldiretti.

La filiera dell’agroalimentare solletica gli appetiti della criminalità organizzata. Quali sono le formule di infiltrazione più diffuse in Italia e come vengono reinvestiti i fondi illecitamente acquisiti?

«Nell’ultimo report sulle Agromafie (2019) si quantificava il fatturato criminale del settore in 24,5 miliardi di euro, pari al 10% del totale dell’economia sommersa italiana. Ovviamente, tale cifra riguarda l’intero comparto agroalimentare, dalla produzione alla logistica, dalla grande distribuzione a ristoranti e alberghi. Più nello specifico, diverse e numerose indagini delle Procure si sono interessate ai vari momenti della filiera. Per esempio, una delle ultime inchieste della Procura di Roma ha accertato il radicamento della ‘ndrangheta nel Lazio, dimostrando l’interesse della mafia proprio al mondo della trasformazione e soprattutto della ristorazione che ben si presta, unitamente alla gestione di piccoli supermercati, al riciclaggio di capitali illeciti».

L’agricoltura è uno dei settori più finanziati dall’UE. Il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale di questo settennato è di circa 96 miliardi di euro. Quali misure sono attive per monitorare e prevenire eventuali infiltrazioni?

«Sicuramente questo è uno dei settori in cui l’Europa si è maggiormente impegnata. Dall’elaborazione del piano strategico per il contrasto alle organizzazioni criminali 2021/2025 all’istituzione della Procura Europea (EPPO – European Public Prosecutor’s Office), dalle direttive antiriciclaggio alla nuova AMLA – Anti Money Laundering Authority, dal coordinamento delle forze dell’ordine alla riforma doganale. Ma sono soprattutto gli Stati a dover esercitare il controllo sul territorio e, oggi, soprattutto sull’impiego dei fondi FAS (Fondo per le Aree Sottoutilizzate), PAC (Politica Agricola Comune) e PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), rafforzare i presidi antiriciclaggio, antifrode e anticorruzione. Il lavoro è enorme e i segnali politici sono confusi».

Lei è Responsabile del Progetto Europa della Fondazione Osservatorio Agromafie. Di cosa si sta occupando?

«Occorre anzitutto precisare che la Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare (Fondazione Osservatorio Agromafie), promossa e fondata da Coldiretti nel febbraio 2014, si prefigge lo scopo di promuovere ricerche, studi, approfondimenti, eventi formativi e di dibattito per diffondere e divulgare tra i cittadini una cultura che valorizzi la filiera agricola esclusivamente italiana e gli elementi distintivi della produzione nazionale, sostenendo il principio che il rispetto della legge favorisca l’economia dell’intero Paese e che la lotta ai fenomeni di criminalità organizzata presenti nel settore agroalimentare determini effetti vantaggiosi in termini non solo economici, ma anche ambientali, sociali e occupazionali.

Convinzione della Coldiretti è che la legalità produca fiducia e senso di responsabilità, indispensabili alla vita della comunità e che senza la rigenerazione del nostro “capitale sociale” non saremo capaci di avviare una ripresa economica solida, duratura ed ecocompatibile. Per questo abbiamo deciso di portare in Europa i contenuti che caratterizzano l’attività dell’osservatorio sulle agromafie, nella consapevolezza che lì si gioca la partita più importante. Anche il nostro metodo di lavoro (tavoli interdisciplinari con la partecipazione di tutti gli stakeholders istituzionali) è importante. Ci occuperemo delle mafie in Europa, della corruzione e delle lobbies, delle frodi alimentari e della concorrenza, nonché del caporalato e del lavoro precario».

Quanti punti del PIL italiano vale il giro d’affari della criminalità organizzata?

«Il valore del sommerso in Italia è di circa 192 miliardi di euro al 2021. L’economia illegale supera i 20 miliardi di euro. Ma si tratta di una stima in palese difetto, perché non ci sono criteri validi per la sua esatta quantificazione. Possiamo però dire con certezza che l’economia sommersa rappresenti almeno un decimo del PIL nazionale».

Manteniamo la leadership mondiale sulla gestione virtuosa dei beni confiscati: i cespiti restituiti alla collettività sono aumentati del 147%. Ma come si opera per recuperare i patrimoni nascosti all’estero?

«Esistono diversi strumenti per recuperare, quantomeno a livello di tassazione, i beni occultati all’estero. Da diversi anni, per i conti e depositi bancari, agisce il CRS – Common Reporting Standard (con lo scambio automatico di informazioni a fini fiscali) che, pur presentando diversi problemi (alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, non hanno aderito; i dati non sono omogenei e spesso non sono rappresentativi), costituisce comunque un limite alla clandestinità dei conti esteri nei paradisi fiscali.

Restano fuori le ricchezze immobiliari e mobiliari (quadri, contanti, oggetti preziosi) che, in questi anni, hanno visto un deciso incremento degli investimenti. A mio avviso è necessario riesaminare tutta la materia a partire dal quadro RW (il modello per dichiarare i redditi prodotti all’estero) e relative sanzioni, In realtà, in questi anni lo strumento più efficace si è dimostrato la voluntary disclosure che è regolamentato dall’OCSE (Organization for Economic Co-operation and Development) ed è stato adottato da quasi tutti i Paesi, Italia compresa».

Se dovesse spiegare qual è il ruolo delle banche nel riciclaggio di denaro come lo definirebbe? Come arginare il fenomeno?

«In tema di antiriciclaggio l’Europa e l’Italia hanno fatto passi da gigante: stiamo vivendo la vigilia del varo della nuova agenzia europea dedicata (AMLA). Per giunta, la nostra UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) credo sia una delle migliori autorità di controllo a livello mondiale. Non a caso abbiamo un numero di segnalazioni – mediamente 150.000 l’anno – che dimostra quanto, soprattutto il sistema bancario, sia interessato a contrastare il fenomeno del riciclaggio. Tuttavia, preoccupa sempre di più l’avvento delle monete digitali e dei meccanismi dematerializzati di pagamento. Altro problema è il funzionamento e il controllo dei paradisi bancari e del segreto bancario conseguente. IL CRS è sicuramente un buon punto di partenza, ma non basta».

Cosa prevede per l’organizzazione e lo sviluppo dell’AMLA?

«Premetto che sono rammaricato per la mancata designazione dell’Italia quale sede dell’Autorità, perchè il nostro sistema antiriciclaggio è il migliore in Europa sia da un punto di vista normativo che per la professionalità sia della UIF che della GDF. Tuttavia, ora la battaglia si sposta sulle nomine del Board e del direttore generale. Spero che il Governo capisca l’importanza dell’AMLA e si faccia sentire. Si tratta di una partita che vale la pena di giocare sino in fondo».

Come agiscono i clan per movimentare flussi di denaro così imponenti anche in luoghi lontanissimi da quelli d’origine?

«Credo sia importante comprendere che le mafie, nelie aree non strettamente legate alla loro influenza, siano passate dalla pratica della infiltrazione a quella del radicamento, cioè della stabile organizzazione sul territorio. Ad esempio, tanto in Lombardia quanto in altre regioni, si sono diffuse le cosiddette “locali”, che sono la rappresentazione delle ‘ndrine (le cellule locali della ‘ndrangheta, ndr) alle quali sono direttamente collegate. I settori di maggiore influenza, oltre ai soliti traffici illeciti (spaccio, gioco, prostituzione, usura ed estorsioni), sono la logistica, il settore dei rifiuti, la grande distribuzione. Alla “lupara” si è poi sostituita la capacità di corruzione delle mafie per l’ottenimento di appalti pubblici, sostenuta dalla naturale forza intimidatoria delle organizzazioni criminali».

Le elezioni sono un momento di particolare fermento per le mafie, che barattano con la politica voti in cambio di appalti. Il rinnovo del Parlamento Europeo, una chiamata alle urne poco partecipata dai cittadini, fa gola invece alla criminalità organizzata? 

«Certo. Qualche esempio lo abbiamo visto dalla cronaca. Il controllo dei flussi finanziari dei fondi comunitari è all’attenzione degli organi di controllo e ne costituisce la più grande preoccupazione. Occorre verificare se la normativa e il rispetto della dichiarazione del titolare effettivo funzioni o non si riduca ad una mera formalità».

Quali misure porta avanti il Piano Strategico dell’Unione Europea 2021-2035 per prevenire l’emorragia di finanziamenti pubblici drenati dalla criminalità organizzata e porre un freno alla corruzione all’interno delle istituzioni statali?

«A livello europeo, la corruzione viene quantificata da studi della Commissione in circa 120 miliardi di euro. Il 68% dei cittadini residenti nei Paesi membri e il 62% delle aziende europee ritengono che la corruzione sia diffusa nel proprio Stato. Lo studio effettuato per la Direttiva, che poi non è stata approvata dalla Commissione per l’ostilità di alcune nazioni, tra le quali l’Italia, è molto approfondito e serio (anche in termini di pene detentive, di reati, di prescrizione) e l’intenzione era quella di raggiungere una maggiore omogeneità nell’approccio al contrasto del proliferare di funzionari infedeli nelle pubbliche amministrazioni, sia in termini preventivi sia in termini repressivi. Mancava tuttavia un riferimento al lobbismo occulto, all’illecito finanziamento della politica ed uno studio sull’ampliamento delle competenze di EPPO».

Quanto collaborano le Procure dei diversi Paesi membri?

«Negli ultimi 30 anni la collaborazione, sia a livello europeo sia esterno, è molto migliorata, sino a raggiungere, con l’istituzione della Procura Europea e la costruzione di un unico spazio giuridico, il massimo livello di integrazione. A questa sinergia partecipano anche altre istituzioni quali l’OLAF (European Anti-Fraud Office), Europol (European Union Agency for Law Enforcement Cooperaticon), nonchè il GAFI (Groupe d’Action FInancière). Insomma, l’asimmetria tra la velocità di trasferimento dei capitali e l’intervento giudiziario tende a ridursi significativamente, anche se oggi il web pone non pochi problemi per un sistema normativo che si fonda sulla fisicità delle condotte».

«Il problema della reciprocità e delle asimmetrie nella globalizzazione ovviamente non riguardano solo l’agricoltura ma tutto il commercio mondiale come il problema dei dazi, di cui tanto si parla in questi gg, dimostra. In agricoltura, la riduzione delle coltivazioni prevista originariamente dal green deal (Il 10% delle terre) avrebbe aperto il mercato europea all’importazione di merci extraUE che spesso non hanno i vincoli produttivi, sanitari e legali dei prodotti domestici. Ad esempio, l’uso di pesticidi ed altri prodotti vietati, sfruttamento del lavoro minorile, scarse garanzie nella produzione zootecnica si pongono in aperta concorrenza sleale con le regole che sovraintendono la produzione europea. Sorge pertanto il problema della reciprocità e dell’uniformità delle regole nei trattati bilaterali e multilaterali. La richiesta dei produttori europei è legittima: sarebbe paradossale, nel combattere giustamente il climate change, favorire sistemi produttivi che continuano a provocarlo».

La legge doganale attuale porta a far credere al consumatore di acquistare prodotti italiani quando invece sono semplicemente trasformati in Italia e le materie prime provengono da altrove. Cosa si potrebbe fare?

«L’Europa è già timidamente intervenuta sul tema della riforma dell’art.60 L. Doganale che considera il prodotto extraUE domestico quando viene (anche apparentemente) trasformato in Europa. In realtà c’è una solo soluzione: la trasparenza delle etichettature! Infatti, basterebbe prevedere una dicitura del tipo: “prodotto in quel paese non UE, lavorato dallo stabilimento di…”. In Italia, inoltre, il problema è acuito dal cosiddetto Italian Sounding che cifra circa 150 miliardi di euro e che, oltre a gettare una cattiva immagine sul vero Made-In, provoca un danno economico incommensurabile alla nostra produzione. La trasparenza delle etichettature è fondamentale per contrastare queste pratiche fraudolente commerciali».

La recente tragedia della morte di Satnam pone con forza il problema del contrasto al caporalato. Lei cosa ne pensa?

«Il contrasto al Caporalato è solo un aspetto del problema. Intanto, lo sfruttamento del lavoro anche nei campi nasce dalle condizioni di irregolarità in cui versano i contadini stagionali stranieri. E’ paradossale che tutti sanno della necessità di utilizzare nei campi questi lavoratori ma non si varano politiche adeguate per la loro stabilizzazione al fine di incentivare contratti regolari e mettere fine allo sfruttamento anche schiavistico della manodopera. La regolarizzazione andrebbe accompagnata anche da strutture di accoglienza (case, trasporti e uffici di collocamento) adeguate che contrastino favelas e baraccopoli che alimentano il potere dei caporali. L’Osservatorio aveva elaborato un progetto insieme ad alcuni ministeri (interni e lavoro) ed all’ANCI (per case e trasporti) che è rimasto lettera morta. E’ nostra intenzione impegnarci per la sua realizzazione».  ©

Articolo tratto dal numero del 1° luglio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

📸 Credits: Canva



 

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