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Frutto tipico dell’autunno-inverno, per il kiwi è tempo dei primi bilanci dell’ultima stagione, con luci e ombre: ancora frenati i consumi in Italia, compensati alla grande dall’export. Dentro i confini pesano la crisi e l’inflazione con l’assurda ed eccessiva forbice tra i prezzi in campagna e sullo scaffale. Se da un lato Ismea rileva un calo dei valori all’origine (1,19 al chilo per la varietà Haywards, cioè addirittura -24,9% sull’anno precedente), dall’altro i prezzi per i consumatori restano alti, sopra i 5 euro al chilo per le qualità migliori.
In compenso gli incrementi delle esportazioni sono a doppia cifra sia a valore (508 milioni di euro, +29%) sia a volume (268 mila tonnellate, +23%) rispetto allo stesso periodo del 2021.
Un andamento difficilmente pronosticabile visti i presupposti d’inizio campagna, ovvero, aumento di produzione in Italia, ma soprattutto in Grecia che è divenuto negli ultimi anni il nostro competitor più pericoloso sui mercati internazionali, almeno per quanto riguarda la polpa verde». Nonostante la seconda piazza (dopo la Nuova Zelanda) nella classifica dei produttori mondiali e la leadership in Europa (seguiti dalla Grecia), l’Italia ha sempre subito l’aggressività degli altri competitor. Negli ultimi mesi del 2022 però c’è stata una netta inversione, tanto da far segnare per l’intero anno riduzioni del 49% delle importazioni dal Cile; del 32% dalla Nuova Zelanda; del 18% dalla Grecia.
I terreni dedicati nell’ultimo anno sono cresciuti in modo esponenziale in Veneto (+327%, ma ancora sono solo 58mila ettari), in Emilia Romagna (+46% per un totale di 88,5 mila ettari) e Lazio (+14%, adesso a 537mila ettari). Insomma resta grande ottimismo, nonostante le coltivazioni siano state colpite negli ultimi anni da una malattia per certi versi più nociva della Xylella degli ulivi pugliesi.
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